Decreto ingiuntivo rigettato: Introduzione
Il decreto ingiuntivo rigettato rappresenta una delle possibili conclusioni del procedimento monitorio.
Quest’ultimo è un giudizio civile finalizzato a ottenere in modo rapido e semplificato un titolo esecutivo (come l’ingiunzione di pagamento) nei confronti di un debitore.
Se devi recuperare un credito insoluto e decidi di avviare una causa giudiziale il giudice potrà accogliere il tuo ricorso oppure rigettarlo.
Pertanto intraprendere un’azione legale non garantisce necessariamente la vittoria processuale.
In questo articolo ti spiegherò in quali casi il Tribunale potrà rigettare il tuo ricorso o richiedere un’integrazione documentale.
In questo modo potrai prepararti in anticipo per evitare errori e sorprese spiacevoli.
Ma prima di proseguire è necessario che ti spieghi alcuni concetti preliminari.
Decreto ingiuntivo rigettato: definizione
Il decreto ingiuntivo rigettato è quella decisione con cui il giudice respinge la richiesta del creditore istante.
Il decreto ingiuntivo è un provvedimento giudiziale con cui il giudice ordina al debitore il pagamento di una somma di denaro o l’adempimento di una determinata obbligazione (come stabilisce l’articolo 633 del codice di procedura civile).
Infatti il creditore può avviare l’esecuzione forzata solo dopo avere ottenuto un titolo esecutivo nei confronti del debitore (come stabilisce l’articolo 474 del codice di procedura civile).
In particolare il decreto ingiuntivo, notificato e non opposto, è il primo passo dell’iter procedurale che consente al creditore di avviare una procedura esecutiva.
Il rigetto del decreto, invece, scaturisce da una valutazione negativa da parte del giudice.
La motivazione del rigetto può dipendere da vari fattori quali l’insufficienza delle prove prodotte o la presenza di vizi procedurali.
La principale conseguenza giuridica di questa “bocciatura” è il prolungamento dei tempi necessari affinché il creditore possa recuperare il credito insoluto.
Decreto ingiuntivo rigettato: richiesta di integrazione
In caso di decreto ingiuntivo rigettato il giudice provvederà a indicare i motivi per i quali ha deciso di respingere la domanda (come stabilisce l’articolo 640 del codice di procedura civile).
La motivazione del rigetto può aiutare il creditore a correggere la propria istanza nel caso in cui decidesse di presentarla di nuovo in un momento successivo.
Dopo aver incaricato un procuratore giudiziale (avvocato), il creditore dovrà produrre insieme al ricorso anche i documenti che provano l’esistenza del diritto di credito.
In particolare il credito che dovrà essere certo, liquido ed esigibile (come stabilisce l’articolo 474 del codice di procedura civile)
In caso contrario il giudice inviterà il creditore a integrare la documentazione prodotta.
Se il ricorrente non provvede, oppure deposita prove ritenute insufficienti dal giudice, il ricorso verrà rigettato (come stabilisce l’articolo 640 del codice di procedura civile).
Pertanto, prima di depositare il ricorso per decreto ingiuntivo è necessario raccogliere e conservare le prove che attestano l’esistenza del credito.
Decreto ingiuntivo rigettato: prove da fornire
Nel caso in cui il giudice richieda un’integrazione documentale, allora il creditore dovrà presentare ulteriori prove e documento che possano sostenere la sua istanza.
In particolare alcuni documenti sono necessari per dimostrare l’esistenza di un rapporto giuridico tra creditore e debitore.
Allo stesso modo è necessario provare l’ammontare dell’importo dovuto e gli eventuali pagamenti rateali non rispettati dalla controparte.
Le principali prove che attestano la legittimità della pretesa creditoria sono le seguenti:
- contratto firmato da entrambe le parti;
- corrispondenza con il debitore;
- fatture insolute.
Il contratto rappresenta l’elemento fondamentale che dimostra l’esistenza di un accordo tra le parti.
Questo documento descrive le modalità di esecuzione della prestazione, il corrispettivo pattuito e le relative scadenze.
La presenza di un contratto sottoscritto tra le parti riduce molto il rischio di future contestazioni dilatorie da parte del debitore, appositamente formulate per ritardare il pagamento.
In particolare se le parti non hanno stipulato un contratto, è possibile dimostrare l’esistenza del rapporto giuridico attraverso la produzione della corrispondenza scambiata tra i contraenti (es. email, messaggi in chat, lettere).
Inoltre le comunicazioni inviate al debitore sono utili per interrompere la prescrizione del credito e per sollecitare l’adempimento dell’obbligazione di pagamento.
Le fatture insolute, invece, sono i documenti contabili che quantificano con precisione l’esatto ammontare del credito insoluto.
In molti casi è possibile ottenere l’accoglimento del ricorso per decreto ingiuntivo allegando le fatture non pagate senza produrre il contratto.
Tuttavia, al fine di evitare contestazioni sulla prestazione, è preferibile stipulare un accordo scritto con la controparte per disciplinare tutti gli aspetti più controversi del rapporto.
Decreto ingiuntivo rigettato: diffida al debitore
In alcuni casi il decreto ingiuntivo potrebbe essere rigettato a causa della mancata produzione della lettera di diffida.
Attraverso questo documento il creditore fornisce al debitore un ultimo avviso per corrispondere l’importo dovuto prima di ricorrere alle vie giudiziarie.
La diffida, infatti, ha la funzione di informare la controparte del suo inadempimento offrendo a quest’ultimo un’ultima opportunità per saldare il debito.
L’invio dell’intimazione di pagamento non è un requisito obbligatorio previsto dalla legge per ottenere il decreto ingiuntivo.
Infatti il giudice può decidere di accogliere il ricorso anche in assenza di tale comunicazione.
Tuttavia, in molti casi, la produzione delle lettere di diffida possono favorire l’accoglimento del ricorso per ingiunzione.
Infatti la presenza di una fitta corrispondenza tra le parti potrebbe dimostrare all’organo giudicante che il creditore ha compiuto tutti gli sforzi possibili per definire la controversia senza ricorrere in giudizio.
In ogni caso l’invio di una lettera di diffida è discrezionale e non sempre condiziona l’esito del procedimento monitorio.
In ogni caso prima di avviare un contenzioso giudiziale è preferibile inviare un atto di messa in mora per interrompere i termini di prescrizione.
Decreto ingiuntivo rigettato: mancato accoglimento
Il decreto ingiuntivo rigettato può essere il risultato della carenza di prove a sostegno della pretesa creditoria.
In molti casi il giudice non rigetterà immediatamente il ricorso ma inviterà il creditore a integrare la documentazione prodotte entro un termine ragionevole (di solito 15 o 30 giorni).
In seguito il cancelliere provvederà a notificare tale comunicazione al ricorrente (come stabilisce l’articolo 640 del codice di procedura civile).
Nel caso in cui il creditore non risponderà tempestivamente all’invito di integrazione, allora il giudice emetterà un provvedimento motivato che sancirà il rigetto della domanda (come stabilisce l’articolo 640 del codice di procedura civile).
In altri casi il decreto ingiuntivo rigettato può essere causato da un vizio procedurale.
In particolare l’incompetenza dell’ufficio giudiziario adito (Tribunale o Giudice di Pace) può spingere il giudice a provvedere al rigetto.
Allo stesso modo la richiesta di ingiunzione può essere respinta se il diritto di credito non è provato in forma scritta.
Pertanto il decreto ingiuntivo può essere rigettato per ragioni di merito o per errori di rito.
Decreto ingiuntivo rigettato: mezzi di impugnazione
Il decreto ingiuntivo rigettato non può essere impugnato da parte del creditore poiché è un atto processuale che non chiude la controversia in modo definitivo.
Infatti il ricorrente ha la possibilità di riproporre la sua istanza senza essere vincolato da una decisione irrevocabile.
Il provvedimento di rigetto, a differenza di una sentenza definitiva, non ha l’efficacia giuridica del “giudicato” e non definisce il contenzioso in modo permanente.
In particolare la giurisprudenza (Sezioni Unite della Corte di Cassazione – sentenza n. 9216 del 19 aprile 2010) ha specificato che non è possibile proporre impugnazione né per regolamento di competenza né per ricorso ai sensi dell’art. 111 della Costituzione poiché “[…] il provvedimento, adottato inaudita altera parte, di rigetto della “domanda d’ingiunzione”, non pregiudica la riproposizione della domanda anche in via ordinaria e che […] non è ricorribile per Cassazione neppure ai sensi dell’art. 111 Cost., in quanto insuscettibile di passare in cosa giudicata“.
L’impossibilità di impugnare il rigetto del decreto ingiuntivo serve a preservare la natura rapida e snella del procedimento monitorio.
Infatti quest’ultimo è stato ideato per ottenere un provvedimento giudiziale di condanna con tempi e formalità differenti rispetto a un procedimento giudiziale ordinario.
Pertanto il creditore non potrà impugnare la decisione di rigetto del giudice ma potrà ripresentare il ricorso in una fase successiva.
Decreto ingiuntivo rigettato: le alternative per il creditore
Il decreto ingiuntivo rigettato può rallentare l’azione di recupero e può rappresentare una sconfitta per il creditore.
Tuttavia questo scenario non impedisce al creditore di ricevere il pagamento dell’insoluto con modalità differenti o in un momento successivo.
Infatti il creditore può sfruttare alcune valide alternative per definire la controversia con la controparte e risolvere una crisi finanziaria.
In particolare la legge prevede la possibilità di presentare un nuovo ricorso integrando la domanda giudiziale e i documenti che provano l’esistenza del diritto.
Allo stesso modo è possibile trovare un accordo bonario con il debitore attraverso un accordo transattivo.
Sebbene il decreto ingiuntivo rigettato possa rappresentare una battuta d’arresto, è possibile trovare delle strategie alternative per incassare il credito.
In alcuni casi è possibile anche sospendere le azioni di recupero in attesa che le condizioni iniziali (che hanno determinato il mancato accoglimento) possano mutare.
Decreto ingiuntivo rigettato: il nuovo ricorso
Il decreto ingiuntivo rigettato non impedisce al creditore di presentare un altro ricorso in un momento successivo.
Attraverso la motivazione del rigetto da parte del giudice il ricorrente ha la possibilità di correggere eventuali errori o integrare il contenuto del ricorso.
Infatti il creditore potrà produrre nuovi documenti e argomentare in modo più esaustivo il pericolo derivante dal ritardato pagamento.
In alcuni casi lo stato di insolvenza del debitore potrebbe spingere il giudice ad accogliere la domanda concedendo persino la provvisoria esecuzione.
Inoltre all’interno del nuovo ricorso è molto importante specificare che il primo è stato rigettato, spiegando i motivi per i quali la precedente istanza non ha convinto il giudice.
In questo modo si offre al tribunale la possibilità di analizzare la nuova domanda giudiziale per verificare se le condizioni iniziali sono mutate.
Quando il credito non è fondato su prova scritta, il creditore potrà avviare una contenzioso civile ordinario per ottenere il pagamento da parte del debitore (come prevede l’articolo 640 del codice di procedura civile).
In questo caso si aprirà un giudizio di cognizione che avrà una durata più lunga di quella del procedimento monitorio.
Al termine del procedimento il giudice definirà la controversia attraverso un differente atto giudiziario denominato “sentenza“.
La trattativa stragiudiziale
Nel caso in cui il decreto ingiuntivo viene rigettato, esistono delle soluzioni alternative per recuperare il credito insoluto.
Una delle opzioni più efficaci è quella di avviare una trattativa con la controparte, al fine di transigere la controversia senza l’instaurazione di un procedimento giudiziale.
In questi casi il potere negoziale del creditore potrebbe essere compromesso se il debitore venisse a conoscenza del rigetto del ricorso per decreto ingiuntivo.
Pertanto è necessario effettuare un’analisi preliminare della posizione per individuare la strategia di recupero più efficace.
Al termine della negoziazione il creditore potrà definire la controversia proponendo alla controparte alcune soluzioni tra cui:
- accordo di piano di rientro;
- accordo di saldo e stralcio.
Nel primo caso le parti raggiungeranno un accordo che consente al debitore di pagare il debito in rate dilazionate nel tempo.
Di solito il piano di rientro viene concesso sull’importo totale dell’esposizione debitoria, comprensivo di interessi e spese, senza concedere riduzioni.
Il saldo e stralcio, invece, è una soluzione con cui il debitore si impegna a pagare una somma inferiore rispetto all’importo totale del credito.
In molti casi il creditore potrà accettare un pagamento ridotto a condizione che il versamento sia effettuato in unica soluzione e in tempi brevi.
Accordo con clausola di profit sharing
Il decreto ingiuntivo rigettato non impedisce al creditore di raggiungere un nuovo accordo economico con il debitore.
In ambito societario esiste una soluzione vantaggiosa per le società che che hanno un elevato potenziale di crescita economica ma non dispongono di liquidità immediata.
Si tratta dell’accordo transattivo con cui le parti rinegoziano il credito applicando una clausola di profit sharing (partecipazione agli utili).
Questa soluzione viene utilizzata dalle startup come mezzo di incentivazione per i nuovi dipendenti, poiché lega la retribuzione ai risultati economici ottenuti dal datore di lavoro.
In linea teorica sarebbe possibile applicare questa soluzione anche ai rapporti di credito-debito raggiungendo un accordo che possa tutelare gli interessi contrapposti di entrambe le parti.
In questo modo il debitore potrebbe impegnarsi a destinare al creditore una percentuale dei futuri guadagni o del reddito generato da una determinata attività (o linea di business) fino alla completa estinzione del debito originario.
L’ammontare degli utili potrebbe essere di importo fisso o variabile e potrebbe essere commisurato in base ai seguenti parametri:
- importo complessivo dell’esposizione debitoria;
- potenzialità di crescita della società debitrice.
Un eventuale accordo con clausola di profit sharing potrebbe costituire una buona soluzione di definizione stragiudiziale di una controversia.
Tuttavia è necessario effettuare un’analisi legale approfondita per verificare se la società debitrice possiede delle prospettive di crescita molto alte.
Conclusione
Il decreto ingiuntivo rigettato rappresenta un risultato processuale negativo per il creditore che può essere ribaltato anche in una fase successiva.
In primo luogo è possibile prevenire un’eventuale pronuncia negativa da parte del giudice raccogliendo in modo completo tutta la documentazione.
In particolare la mancanza o l’insufficienza di prove che dimostrino l’esistenza del diritto di credito possono compromettere l’esito favorevole del giudizio.
Tuttavia in caso di decreto ingiuntivo rigettato, il creditore avrà ulteriori soluzioni per ottenere un provvedimento giudiziale di condanna.
Infatti, nel caso in cui emergessero nuovi elementi di prova o documenti utili sarà possibile riproporre il ricorso.
Inoltre il rigetto del ricorso non preclude la possibilità di avviare una trattativa stragiudiziale con il debitore al fine di transigere il contenzioso e recuperare il credito insoluto.
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