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Sentenza civile: introduzione

La sentenza civile costituisce uno strumento giuridico alternativo per il recupero di un credito insoluto.

Infatti l’assenza di prove documentali rappresenta un ostacolo significativo per ottenere un decreto ingiuntivo.

In mancanza di documenti scritti che attestino l’esistenza del credito, l’ordinamento giuridico consente di promuovere un giudizio di cognizione.

Questo procedimento, disciplinato dal codice di procedura civile, permette al creditore di ottenere un titolo esecutivo valido con modalità differenti rispetto al procedimento di ingiunzione.

Durante il giudizio, il magistrato esamina le prove (tra cui anche quelle testimoniali) e gli elementi probatori disponibili.

La sentenza civile che ne deriva, una volta passata in giudicato, assume piena efficacia di titolo esecutivo.

Pertanto, il creditore acquisisce il diritto di avviare l’esecuzione forzata sui beni del debitore.

In altre parole, anche senza prove scritte del credito, la legge offre una soluzione per tutelare le ragioni creditorie.

In questo articolo ti spiegherò come sfruttare la sentenza civile nel recupero dei crediti commerciali.

Prima di proseguire voglio fornirti alcune definizioni preliminari.

Giudizio di cognizione e sentenza civile

Il giudizio di cognizione rappresenta la fase processuale in cui il magistrato esamina una controversia tra due o più soggetti per accertare la fondatezza delle pretese avanzate da una delle parti.

Tale procedimento costituisce il nucleo dell’attività giurisdizionale civile, con cui si tutela e si accerta l’esistenza dei diritti contestati.

Nel corso di questa fase, il giudice valuta le prove prodotte e applica le norme giuridiche pertinenti alla fattispecie per cui è sorta la controversia.

Lo svolgimento del giudizio si articola attraverso precisi passaggi procedurali che garantiscono il contraddittorio tra le parti processuali.

Lo scopo del giudizio di cognizione è quello di chiedere l’intervento di un giudice affinché quest’ultimo dichiari la sussistenza o meno di un diritto controverso.

In un contenzioso tra creditore e debitore, è possibile avviare un giudizio di cognizione in assenza di prove documentali utili per l’avvio di un procedimento di ingiunzione.

In questo modo l’ordinamento fornisce uno strumento processuale per regolare i rapporti giuridici che hanno determinato l’insorgenza di una disputa legale.

Il giudizio di cognizione svolge la fondamentale funzione di rimuovere l’incertezza sulle situazioni giuridiche soggettive al fine di offrire tutela ai diritti meritevoli di protezione.

Sentenza civile: definizione

La sentenza civile rappresenta l’atto giurisdizionale con cui il giudice conclude il processo civile.

Questo provvedimento decisorio risolve le controversie tra le parti attraverso l’applicazione di norme giuridiche.

Il magistrato giudicante, dopo aver valutato le prove e le tesi giuridiche dei procuratori legali, formula un giudizio vincolante per le parti processuali.

Secondo quanto prevede la legge (articolo 132 del codice di procedura civile) la sentenza civile deve contenere i seguenti elementi fondamentali:

  • l’intestazione (in cui è indicato il Tribunale che emette il provvedimento);
  • l’indicazione delle parti e dei rispettivi procuratori;
  • la concisa esposizione dei motivi in fatto e diritto;
  • le conclusioni delle parti,
  • il dispositivo (ovvero la parte finale in cui è contenuta la decisione).

Tale atto assume efficacia esecutiva nei casi previsti dalla legge (articolo 474 del codice di procedura civile), consentendo l’esecuzione forzata della decisione.

In base all’articolo 324 del codice di procedura civile, la sentenza civile diventa irrevocabile quando non è più soggetta a impugnazioni ordinarie.

Pertanto, questo provvedimento giurisdizionale costituisce lo strumento attraverso cui l’ordinamento tutela i diritti soggettivi dei cittadini nelle controversie civili.


Differenze tra decreto ingiuntivo e sentenza civile

Sentenza civile e decreto ingiuntivo

Il decreto ingiuntivo rappresenta un provvedimento giudiziale dal carattere sommario su istanza di un soggetto che deve far valere un diritto certo, liquido ed esigibile.

Tale strumento consente al creditore di ottenere rapidamente un titolo esecutivo senza contraddittorio iniziale con il debitore.

La sentenza civile, diversamente, scaturisce da un procedimento ordinario caratterizzato dal pieno dispiegamento del contraddittorio tra le parti.

Nel procedimento ordinario, che culmina con l’emissione di una sentenza civile, il giudice esamina i documenti, le testimonianze e le argomentazioni di entrambe le parti.

Il decreto ingiuntivo offre maggiore celerità procedurale rispetto alla sentenza civile, costituendo la via preferenziale per crediti provati in via documentale.

Di conseguenza, i tempi di recupero giudiziale mediante decreto ingiuntivo risultano significativamente ridotti rispetto all’iter processuale ordinario.

Al contrario la sentenza civile garantisce un accertamento più approfondito e incontrovertibile del diritto di credito.

Pertanto, la scelta tra i due strumenti dipenderà dalla tipologia documentale a supporto del credito vantato.

Entrambi i provvedimenti costituiscono valide opzioni procedurali che si differenziano per tempi e modalità di contraddittorio.

Presupposti documentali: quando la prova è insufficiente

La solidità di un credito dipende dalla qualità della documentazione a suo supporto.

In ambito giudiziario, l’insufficienza probatoria conduce frequentemente al rigetto delle richieste processuali del creditore.

Una sentenza civile sfavorevole deriva spesso alla mancata produzione di un valido contratto sottoscritto dalle parti.

Analogamente, l’assenza di fatture regolarmente emesse può compromettere la posizione giuridica del creditore.

La corrispondenza commerciale, se frammentaria o non riconducibile con certezza alle parti, può essere considerata inadeguata dal Giudice.

Allo stesso modo le dichiarazioni testimoniali non supportate da riscontri documentali possono avere una limitata efficacia probatoria.

Nel corso dell’istruttoria, il magistrato valuterà l’attendibilità delle prove secondo regole tecniche codificate dal codice di rito e dalla giurisprudenza di legittimità.

La sentenza civile negativa rappresenta l’inevitabile esito di un’azione giudiziaria fondata su presupposti documentali carenti o inidonei a dimostrare l’esistenza del diritto di credito.

Ricorda che l’onere della prova grava interamente sul creditore.

Quest’ultimo dovrà munirsi preventivamente di idonea documentazione per tutelare efficacemente la propria pretesa in sede giudiziaria.

Tempistiche e costi processuali: sentenza civile e decreto ingiuntivo a confronto

Il recupero di un credito attraverso una causa giudiziale richiede alcune valutazioni economiche che possono risultare determinanti per decidere quale strategia seguire.

Il giudizio di cognizione, che si conclude con la sentenza civile, richiede tempistiche piuttosto dilatate, generalmente quantificabili in anni.

I costi processuali di tale procedura includono:

  • contributi unificati (ovvero le spese da versare allo stato italiano);
  • spese di notifica;
  • compensi professionali per l’avvocato costituito in giudizio;
  • eventuali oneri accessori (come il pagamento dei consulenti tecnici d’ufficio nominati nel giudizio).

Al contrario, il decreto ingiuntivo rappresenta uno strumento processuale caratterizzato da maggiore celerità.

Le spese per ottenere di un decreto ingiuntivo risultano sensibilmente inferiori rispetto a quelle necessarie per ottenere una sentenza civile.

Tali differenze economiche derivano principalmente dalla struttura semplificata del procedimento monitorio (ovvero il procedimento di ingiunzione).

In particolare, l’assenza di udienze multiple e attività istruttorie complesse determina un abbattimento dei costi legali.

La sentenza civile, d’altra parte, garantisce un accertamento giudiziale approfondito della controversia, che risolve definitivamente eventuali contestazioni del debitore.

Sentenza civile e trattativa stragiudiziale

L’ottenimento di una sentenza civile favorevole non preclude la possibilità di avviare una trattativa stragiudiziale con il debitore.

Questo percorso alternativo, spesso trascurato, presenta vantaggi concreti per entrambe le parti coinvolte nel contenzioso.

Il creditore, pur munito di titolo esecutivo (sentenza civile), può valutare l’opportunità di negoziare termini di pagamento dilazionati.

In tal modo sarà possibile evitare i costi e ridurre i tempi dell’esecuzione forzata, garantendo al contempo un recupero più celere del credito.

Per il debitore, d’altra parte, la trattativa post-sentenza rappresenta un’occasione per evitare le conseguenze pregiudizievoli dell’espropriazione.

La legge non ostacola tali accordi, anzi li favorisce nell’ottica deflattiva del contenzioso giudiziario.

Pertanto, anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza civile, le parti mantengono piena autonomia negoziale.

La composizione bonaria della controversia rimane sempre percorribile, offrendo soluzioni pragmatiche rispetto alla rigidità dell’esecuzione giudiziale.


Il procedimento ordinario per ottenere una sentenza civile

Sentenza civile - procedimento ordinario

Quando il credito è fondato su una prova scritta il creditore può ottenere il titolo esecutivo in tempi rapidi avviando un giudizio speciale che prende in nome di procedimento monitorio (come stabilisce l’articolo 633 del codice di procedura civile).

Se invece la prova scritta del credito è assente, il creditore non potrà richiedere un decreto ingiuntivo e dovrà necessariamente avviare un processo di cognizione.

Questo giudizio è finalizzato a ottenere una sentenza civile che accerti l’esistenza del credito e condanni il debitore al pagamento.

Il processo di cognizione, infatti, è il procedimento giudiziario attraverso il quale un giudice accerta l’esistenza di un diritto e ne dichiara l’effettiva sussistenza con una sentenza (come stabiliscono gli articoli 163 e seguenti del codice di procedura civile).

Il giudizio si articola in più fasi e precisamente:

  • notifica e deposito della domanda giudiziale;
  • costituzione delle parti;
  • istruttoria (la fase in cui si valutano le prove);
  • decisione finale.

A differenza del procedimento monitorio il processo di cognizione prevede un contraddittorio completo tra le parti e un’attenta valutazione delle prove.

Per questo motivo i tempi di definizione del giudizio di cognizione sono più lunghi poiché il creditore dovrà dimostrare la legittimità della sua pretesa.

L’atto di citazione: elementi costitutivi e formulazione

L’atto di citazione è il documento processuale con cui il creditore (attore) avvia un giudizio ordinario nei confronti del debitore (convenuto), al fine di ottenere una sentenza civile che accerti l’esistenza del credito e ne disponga il pagamento.

Il contenuto dell’atto di citazione è espressamente disciplinato dall’articolo 163 del codice di procedura civile.

Il mancato rispetto delle formalità richieste può determinare l’invalidità dell’atto e l’improcedibilità della domanda.

In particolare gli elementi fondamentali che devono essere presenti nell’atto di citazione sono i seguenti:

  • Indicazione del tribunale competente: il tribunale che ha giurisdizione sulla causa;
  • Generalità delle parti: i dati anagrafici di entrambe le parti: il creditore (attore) e il debitore (convenuto);
  • Esposizione dei fatti: la narrazione precisa dei fatti che giustificano la domanda del creditore;
  • Motivi di diritto: i fondamenti giuridici della domanda, ovvero le norme che supportano la pretesa del creditore;
  • Conclusioni: le richieste chiare e specifiche che il creditore rivolge al giudice, come ad esempio la condanna del debitore al pagamento di una somma di denaro;
  • Vocatio in ius: l’invito al convenuto a comparire in tribunale nell’udienza fissata;
  • Indicazione del procuratore: l’avvocato che rappresenta il creditore, con il suo nome e il domicilio professionale;
  • Sottoscrizione dell’avvocato: la firma dell’avvocato che ha redatto l’atto di citazione.

Ogni punto indicato è essenziale per il corretto svolgimento del processo e per evitare che l’atto venga dichiarato nullo o inammissibile (come stabilisce l’articolo 164 del codice di procedura civile)

La notifica dell’atto di citazione al debitore segna l’inizio del processo e da questo momento in poi il convenuto ha il diritto di costituirsi entro i termini previsti, presentando le proprie difese.

La fase di trattazione e l’onere probatorio

Dopo la notifica dell’atto di citazione e la costituzione in giudizio del debitore, il giudice convoca le parti per l’udienza di trattazione (come stabilisce l’articolo 183 del codice di procedura civile).

In questa fase, il giudice definisce l’istruttoria e precisamente:

  • stabilisce le modalità e i termini per la produzione delle prove (documenti, testimoni, perizie);
  • dispone le udienze per la discussione della causa.

Il creditore espone la proprie richieste e illustra le prove a supporto del credito vantato, mentre il debitore presenta le proprie difese.

Il giudice può anche sollecitare una possibile conciliazione, ma la fase principale rimane quella della valutazione delle prove.

Infine, una volta completata l’istruttoria, il giudice chiede ad entrambe le parti di precisare le conclusioni e in seguito emette la sentenza che stabilisce se il creditore ha diritto o meno al pagamento.

L’onere della prova incombe sul creditore secondo il principio “onus probandi incumbit ei qui dicit” (che significa letteralmente “l’obbligo di portare le prove spetta a colui che afferma”) sancito dall’articolo 2697 del codice civile.

Tale regola impone al soggetto attivo del rapporto obbligatorio di dimostrare l’esistenza del credito vantato verso la controparte.

La prova del credito richiede l’esibizione di documentazione contrattuale, fatture, estratti conto e comunicazioni intercorse tra le parti.

Nel procedimento ordinario la fase istruttoria può protrarsi per mesi o anni con inevitabili ripercussioni sui tempi di recupero.

Il ruolo delle consulenze tecniche nel giudizio ordinario

Quando le prove documentali non sono sufficienti a chiarire determinati aspetti della controversia, il giudice può decidere di nominare un Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) per fornire un parere oggettivo (come stabilisce l’articolo 191, comma 1, del codice di procedura civile).

Le parti, inoltre, possono avvalersi di un Consulente Tecnico di Parte (CTP) per supportare le proprie argomentazioni e contestare eventuali conclusioni avverse.

I consulenti tecnici sono professionisti con competenze specialistiche che intervengono nel processo civile per fornire valutazioni su aspetti che richiedono conoscenze tecniche, scientifiche o contabili.

Nel giudizio di cognizione, queste consulenze assumono particolare rilevanza, soprattutto in controversie di natura contabile, finanziaria o tecnica.

Se ad esempio il debitore contesta l’importo richiesto dal creditore, il giudice potrà nominare un un esperto contabile (come un commercialista) per elaborare una relazione tecnica che fornisca un parere qualificato sul tema.

Attraverso questo documento il creditore potrà chiarire la legittimità delle somme pretese, ricostruendo movimenti finanziari, tassi di interesse e eventuali aggiornamenti contabili.

L’acquisizione di perizie e relazioni tecniche può incidere significativamente sull’esito del processo e sulla decisione finale del giudice.


Strategie processuali per massimizzare le probabilità di successo

Sentenza civile - strategie processuali

Nel giudizio di cognizione l’assenza di una prova scritta del credito rende necessaria l’adozione di una strategia processuale mirata da parte del creditore.

Infatti è opportuno strutturare il processo sulla base di prove testimoniali, presunzioni e documenti integrativi che possono dimostrare l’esistenza del diritto.

La corretta combinazione di questi strumenti probatori può rafforzare la posizione del creditore e aumentare le possibilità di ottenere una sentenza civile di condanna nei confronti del debitore.

La produzione degli elementi di prova nel processo deve seguire un criterio logico e persuasivo, in modo da facilitare la ricostruzione dei fatti da parte del giudice.

Infatti la capacità di valorizzare ogni prova permette di rafforzare la pretesa creditoria anche in assenza di un titolo scritto.

Dettagli apparentemente secondari, come l’esistenza di pagamenti parziali o l’ammissione informale del debito da parte del debitore, possono assumere un peso determinante per convincere il giudice.

La costruzione dell’impianto probatorio in assenza di prova scritta

La sentenza civile di condanna a carico del debitore viene emessa quando il giudice ritiene fondata la richiesta avanzata dal creditore.

In assenza di prova scritta è necessario dimostrare con altri mezzi l’esistenza del diritto di credito.

Uno dei mezzi istruttori più comuni è rappresentato dalla prova testimoniale che può confermare l’accordo intercorso tra le parti e le modalità di esecuzione della prestazione.

Infatti la testimonianza di soggetti informati sui fatti costituisce il primo pilastro su cui edificare la pretesa creditoria.

Il legale del creditore dovrà selezionare accuratamente i testimoni che hanno avuto conoscenza dei rapporti commerciali intercorsi tra le parti.

I soggetti che hanno partecipato direttamente alla stipula dell’accordo (come ad esempio i dipendenti, i collaboratori o i soci dell’impresa) possono essere citati come testi.

Inoltre è possibile ricostruire la vicenda anche attraverso documentazione complementare, come email, messaggi, ordini di acquisto o registri contabili.

Questi documenti, pur avendo una minore forza probatoria (rispetto a un contratto firmato, di una cambiale o di una fattura), possono essere sfruttati per dimostrare l’esistenza di un accordo tra le parti.

Testimonianze e prove Indirette: valore ed efficacia

Nel giudizio di cognizione, le testimonianze e le prove indirette assumono un ruolo molto importante.

I racconti dei testimoni, se attendibili e coerenti, possono costituire una base fondamentale per supportare la pretesa del creditore.

Il giudice, infatti, valuta la credibilità dei testimoni e la loro capacità di ricostruire i fatti durante la fase istruttoria.

Le prove indirette, invece, sono quegli elementi di prova che, pur non essendo direttamente legati all’evento da dimostrare, possono comunque supportare e rafforzare la tesi del creditore nel corso di un giudizio.

Un esempio tipico di prova indiretta sono le email, i messaggi di testo, gli ordini di acquisto, le registrazioni contabili o altre forme di comunicazione che possono confermare o suggerire la veridicità di un’affermazione.

Il creditore, infatti, può esibire una serie di ricevute che mostrano una sequenza di pagamenti regolari da parte del debitore per beni o servizi forniti.

In un processo civile, soprattutto quando non si dispone di una prova scritta certa, le prove indirette sono fondamentali per rafforzare la pretesa del creditore e per contribuire alla formazione del convincimento del giudice.

L’importanza delle comunicazioni commerciali pregresse

Le comunicazioni commerciali scambiate tra il creditore e il debitore durante il periodo di collaborazione rappresentano delle prove atipiche molto utili per comprendere l’evoluzione del rapporto contrattuale.

Questi documenti possono assumere rilevanza giuridica, soprattutto in caso di controversie, poiché contribuiscono a dimostrare l’esistenza, il contenuto e i termini di un relazione controversa.

In particolare la corrispondenza email, le pec, le lettere e in genere tutti i messaggi scambiati tra il creditore ed il debitore (anche a mezzo chat con applicazioni di messaggistica istantanea come WhatsApp) hanno un importante valore probatorio all’interno del giudizio di cognizione.

In particolare una semplice email (sebbene non offra le stesse garanzie legali di una pec) può costituire un principio di prova se supportata da elementi idonei a confermarne l’autenticità (come confermato dall’ordinanza n. 25131/2024 della Corte di Cassazione).

Ai sensi dell’articolo 2712 del Codice Civile, l’email rientra tra le riproduzioni informatiche e, in quanto tale, può avere valore probatorio nei procedimenti giudiziari.

Se il debitore contesta la provenienza o il contenuto dell’email, spetterà al creditore dimostrare la genuinità del messaggio.


Conclusione

La corretta conservazione del materiale probatorio rappresenta un elemento determinante per l’ottenimento di una sentenza civile favorevole.

Il successo di un procedimento giudiziario dipende essenzialmente dalla qualità e completezza dei documenti prodotti dalla parte attrice.

Nel corso di un giudizio di cognizione, il giudice valuterà la coerenza tra le richieste processuali e le prove contenute nel fascicolo processuale.

Pertanto la diligente raccolta e custodia documentale diventa presupposto imprescindibile per il riconoscimento delle pretese creditorie.

Un apparato probatorio lacunoso compromette inevitabilmente le possibilità di ottenere una sentenza civile di condanna.

La giurisprudenza conferma che l’onere della prova grava sul creditore che agisce in giudizio.

Di conseguenza una corretta produzione delle evidenze documentali e testimoniali del diritto di credito determinerà l’esito della controversia.

Per questo motivo ti consiglio di documentare ogni fase del rapporto di collaborazione con la controparte sin dalla sua costituzione.

Un’accurata gestione della documentazione aumenta notevolmente le probabilità di ottenere una pronuncia giurisdizionale favorevole e semplifica il recupero di un credito insoluto.

Sentenza civile e decreto ingiuntivo - differenze - grafico


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Autore

Teresa Rossi

Avvocato • Credit Advisor • Founder di Recupero Legale

Specializzata in Credit Management • Immobiliare • Due Diligence

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© riproduzione riservata

La cambiale: introduzione

La cambiale è uno strumento giuridico che può essere utilizzato per garantire l’adempimento di obbligazioni pecuniarie derivanti da forniture di beni o prestazioni di servizi.

Questo titolo di credito rappresenta un documento molto prezioso per l’attività di recupero.

La cambiale, infatti, attribuisce al creditore un diritto certo, liquido ed esigibile sul credito vantato.

Se possiedi questo documento e la controparte non effettua il pagamento del tuo lavoro, potrai avviare l’attività esecutiva attraverso una procedura più celere rispetto all’ordinario processo civile.

Infatti, in presenza di una cambiale (che possiede determinati requisiti) non è necessario rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere un titolo esecutivo.

Tuttavia è necessario compilare correttamente la cambiale e conservarla fino alla scadenza.

Eventuali errori formali potrebbero renderla invalida.

Nei prossimi paragrafi ti illustrerò come sfruttare le potenzialità di questo strumento e quali strategie adottare per recuperare più velocemente un credito insoluto.

Prima di proseguire voglio spiegarti alcuni concetti fondamentali.

La cambiale: definizione

La cambiale è un titolo di credito che attribuisce al legittimo possessore il diritto di ottenere il pagamento della somma indicata, alla scadenza e nel luogo in essa previsti (R.D. n. 1669/1933, c.d. Legge Cambiaria).

Il legislatore ha configurato questo strumento come documento formale dotato di efficacia esecutiva diretta.

La legge cambiaria, infatti, regola l’emissione e l’esecuzione della cambiale, stabilendo precise condizioni di validità.

Esistono due principali tipologie di cambiali:

  • il pagherò cambiario;
  • la cambiale tratta.

Nel pagherò, l’emittente si impegna personalmente al versamento della somma indicata.

La cambiale tratta, invece, contiene l’ordine rivolto a un terzo di pagare al beneficiario l’importo stabilito.

In caso di mancato adempimento, il creditore ha diritto di agire nei confronti dell’emittente per il recupero della somma dovuta.

Il principale tipo di cambiale utilizzato dagli imprenditori per garantire il pagamento è il “pagherò cambiario”.

Questo strumento è particolarmente consigliato per la sua semplicità, flessibilità e capacità di garantire il diritto di credito senza troppe formalità.

Infatti, il pagherò cambiario è un titolo di credito unilaterale, emesso dal debitore, che si impegna a pagare una somma di denaro al beneficiario alla scadenza concordata.

La cambiale: elementi essenziali

La cambiale deve essere redatta in forma scritta e deve contenere alcune informazioni essenziali.

La sua validità dipende dall’accuratezza di tali elementi; qualsiasi omissione o errore può invalidare il titolo (come stabilisce l’articolo 2 del R.D. n. 1669/1933, c.d. Legge Cambiaria).

L’articolo 100 della Legge Cambiaria elenca i requisiti essenziali del vaglia cambiario, che sono i seguenti:

  • la denominazione di vaglia cambiario o pagherò inserita nel contesto del titolo;
  • la promessa incondizionata di pagare una somma determinata;
  • l’indicazione della scadenza;
  • l’indicazione del luogo di pagamento;
  • il nome del beneficiario al quale dovrà essere effettuato il pagamento;
  • l’indicazione della data e del luogo dove il vaglia è emesso;
  • la sottoscrizione di colui che emette il titolo.

L’elemento distintivo della cambiale è la promessa di pagamento che deve essere redatta in modo chiaro e inequivocabile.

Tale indicazione consiste nell’impegno formale del debitore a versare una determinata somma di denaro alla scadenza stabilita in favore di un beneficiario.

La promessa di pagamento si distingue dall’ordine di pagamento, che è proprio della cambiale tratta.

Nel caso del pagherò cambiario, infatti, il debitore non sta effettuando un ordine a terzi di effettuare il pagamento, ma sta assumendo un impegno diretto e personale verso il beneficiario.

La cambiale: soggetti coinvolti

L’emissione di una cambiale coinvolge diversi soggetti, ciascuno con specifiche responsabilità giuridiche.

Nel vaglia cambiario gli individui interessati sono l’emittente e il beneficiario.

L’emittente assume l’obbligo diretto di pagare la somma indicata nella cambiale alla scadenza prefissata.

Il beneficiario, invece, rappresenta il creditore legittimato a ricevere il pagamento specificato nel titolo.

Il rapporto tra emittente e beneficiario si fonda su un vincolo obbligatorio diretto e formale che si caratterizza per la sua certezza giuridica.

In primo luogo, questo vincolo è diretto, poiché l’emittente si impegna personalmente e senza condizioni a pagare una somma di denaro al beneficiario alla scadenza stabilita.

Inoltre, il vincolo è formale, in quanto l’impegno di pagamento è espresso in un documento scritto che rappresenta una prova legale del credito.

A volte la cambiale può essere sottoscritta da un soggetto terzo (avallante) oppure può essere firmata da un garante.

In questi casi i soggetti “aggredibili” sono due:

  • debitore principale;
  • firmatario della cambiale.

La formalità della cambiale e l’individuazione dei soggetti obbligati la rende uno strumento affidabile e sicuro per le transazioni commerciali.

La cambiale: azione diretta contro il debitore

La cambiale rientra tra i titoli esecutivi elencati dall’articolo 474, n. 2, del codice di procedura civile.

Questo strumento consente al creditore di avviare direttamente l’esecuzione forzata nei confronti del debitore inadempiente.

La legge, infatti, in presenza di determinate condizioni, attribuisce alla cambiale efficacia esecutiva immediata senza necessità di un preventivo accertamento giudiziale.

In particolare la condizione indispensabile per qualificare la cambiale come titolo esecutivo, è la presenza dell’imposta di bollo posta sul retro (secondo le modalità previste dal D.P.R. n. 642/1972, Allegato A, articolo 6).

Tale caratteristica distingue questo titolo di credito dai comuni documenti commerciali privi di forza esecutiva.

In questi casi il creditore può avviare il pignoramento mobiliare o immobiliare con la sola notifica del precetto risparmiando tempo e costi.

Il beneficiario della cambiale, infatti, non dovrà agire in giudizio per chiedere al giudice di riconoscere il suo diritto di credito.

In particolare non sarà necessario ottenere un decreto ingiuntivo o un altro provvedimento giudiziario come la sentenza.

Se sei creditore in base a una cambiale potrai direttamente notificare un atto di precetto al debitore velocizzando il recupero del tuo credito.

Questo vantaggio processuale si traduce in maggiore celerità e migliore gestione dei flussi finanziari aziendali.

La rapidità dell’azione esecutiva azionata in forza di cambiale, infatti, rappresenta uno strumento strategico per l’equilibrio finanziario della tua impresa.


La cambiale nel credit management

La cambiale - credit management

La cambiale costituisce una risorsa preziosa per le attività di credit management.

L’imprenditore può ridurre significativamente la percentuale di insoluti attraverso una politica commerciale basata su garanzie cambiarie.

Infatti, l’introduzione di questo titolo nei rapporti commerciali rafforza il potere contrattuale del creditore e produce un effetto deterrente verso comportamenti dilatori dei debitori.

Il cliente che accetta di sottoscrivere una cambiale (emittente) potrebbe mostrare maggiore puntualità nei pagamenti.

A differenza di una fattura, che può essere oggetto di contestazioni o ritardi, la cambiale impone una scadenza precisa.

Il debitore dovrà essere informato che, in caso di mancato pagamento, il creditore potrà avviare rapidamente un’esecuzione forzata.

Questo meccanismo riduce la possibilità di ritardi e incentiva il rispetto dei termini pattuiti.

Inoltre la sottoscrizione di una cambiale potrebbe rappresentare un segnale di maggiore affidabilità della controparte.

Pertanto un uso strategico della cambiale ti aiuterà a effettuare una profilazione mirata dei clienti e potrebbe aiutarti a prevenire le crisi di insolvenza.

La cambiale: impatto sul DSO

La cambiale offre vantaggi concreti per i crediti commerciali e le transazioni che prevedono dilazioni di pagamento.

Infatti l’utilizzo corretto di questo strumento produce molteplici benefici:

  • aiuta a mantenere stabile il cash flow;
  • permette di pianificare le entrate con regolarità;
  • consente di ridurre i crediti insoluti.

L’effetto deterrente della cambiale ha un impatto diretto sulla riduzione del DSO (Days Sales Outstanding), ossia il tempo medio di incasso dei crediti aziendali.

Quando un soggetto sottoscrive una cambiale, si impegna formalmente a rispettare la scadenza di pagamento.

La possibilità di avviare un’azione esecutiva immediata in caso di inadempimento crea una pressione psicologica che spinge il debitore a saldare tempestivamente il proprio debito.

Questo comportamento riduce i tempi di incasso e, di conseguenza, il DSO aziendale.

Un DSO più basso aiuta l’impresa a mantenere una maggiore liquidità che potrà essere utilizzata per finanziare ulteriori attività.

In ogni caso prima di utilizzare un titolo cambiario per il recupero del tuo credito, devi distinguere alcuni casi fondamentali.

Cambiale scaduta da meno di tre anni

La cambiale mantiene la sua efficacia esecutiva per tre anni dalla data di scadenza (secondo quanto previsto dall’articolo 63 del R.D. n. 1669/1933, c.d. Legge Cambiaria).

Pertanto, se la cambiale è scaduta da meno di tre anni è possibile avviare direttamente l’esecuzione forzata (articolo 94 del R.D. n. 1669/1933, c.d. Legge Cambiaria) notificando il precetto.

Quest’ultimo è un atto con cui si intima al debitore di adempiere all’obbligazione entro un termine stabilito, minacciando l’esecuzione forzata in caso di mancato pagamento (come stabilisce l’articolo 480 del codice di procedura civile).

Di solito, per avviare un’azione esecutiva nei confronti di un debitore, è necessario ottenere un titolo esecutivo (come un decreto ingiuntivo, una sentenza o altri provvedimenti del giudice previsti dall’articolo 474 del codice di procedura civile).

Ottenere un titolo esecutivo può richiedere tempi lunghi e dispendio di risorse economiche.

Tuttavia la cambiale rappresenta un’eccezione significativa a questa regola generale.

Se la cambiale è scaduta da meno di tre anni, il creditore può procedere direttamente alla notifica del precetto senza la necessità di ottenere preventivamente un ulteriore titolo esecutivo.

Tale procedimento abbreviato costituisce un vantaggio rilevante rispetto ai crediti ordinari.

Ricorda inoltre che, se la cambiale è protestata, nell’atto di precetto dovrai inserire anche le spese di protesto.

Di conseguenza il termine di tre anni decorrerà dal giorno successivo alla data del protesto.

Cambiale pro solvendo

L’efficacia esecutiva della cambiale è più breve se il documento contiene le parole “pro solvendo”.

In questi casi è possibile notificare direttamente l’atto di precetto entro un anno dalla scadenza.

L’espressione “pro solvendo” significa che la cambiale viene emessa come mezzo di pagamento condizionato.

Pertanto il debito sottostante non si estingue immediatamente con la consegna del titolo e il debitore non è liberato finché la cambiale non viene incassata.

L’ espressione “pro soluto”, invece, implica che, consegnando la cambiale, il debitore viene immediatamente liberato dall’obbligazione principale, a meno che non sia stato stabilito diversamente.

Il creditore deve quindi verificare attentamente la presenza della clausola “pro solvendo” sulle cambiali ricevute.

La riduzione temporale da tre anni a uno comporta la necessità di monitorare con maggiore frequenza le scadenze.

Di conseguenza, l’azione esecutiva deve essere pianificata con tempestività per evitare la perdita dell’efficacia esecutiva del titolo.

La differenza, apparentemente formale, produce quindi effetti sostanziali sulla tutela del credito aziendale.

Cambiale scaduta da più di tre anni

Se la cambiale è scaduta da più di tre anni non è possibile notificare subito l’atto di precetto.

In questo caso è necessario ottenere un titolo esecutivo e cioè un decreto ingiuntivo.

Infatti la cambiale perde la sua efficacia esecutiva una volta trascorsi tre anni dalla data di scadenza originaria.

Il termine triennale rappresenta un confine giuridico per l’avvio dell’esecuzione forzata mediante precetto.

Dopo tre anni dalla scadenza, il creditore dovrà ottenere un nuovo titolo esecutivo prima di procedere in via esecutiva.

In questo caso sarà necessario presentare in tribunale un ricorso insieme al titolo cambiario.

Infatti la cambiale scaduta potrà essere utilizzata come prova scritta del credito nel procedimento di ingiunzione e potrà consentire di ottenere la provvisoria esecuzione del decreto (come prevede l’articolo 642 del codice di procedura civile).

Il giudice, verificata la fondatezza della pretesa, emetterà il decreto che costituirà la base per la successiva notifica del precetto.

Pluralità di cambiali non ancora scadute

Se il debitore ha firmato due o più cambiali, alcune delle quali non sono ancora scadute, prima di notificare l’atto di precetto sarà necessario inviare una diffida per richiedere il pagamento del debito.

All’interno di questo documento dovrà essere comunicata la “decadenza dal beneficio del termine” con riferimento alla cambiali che dovranno scadere (come previsto dall’articolo 1186 del codice civile e dall’articolo 94 del R.D. n. 1669/1933, c.d. Legge Cambiaria).

In altre parole, se il debitore è inadempiente, e non effettua il pagamento dell’importo dovuto, decade dal beneficio di pagare il suo debito a rate.

La comunicazione di “decadenza dal beneficio del termine” serve proprio a questo, cioè a revocare il beneficio di effettuare pagamenti dilazionati nei confronti del firmatario.

In questo modo, qualora il debitore continuerà a essere inadempiente, sarà possibile precettare tutte le cambiali (sia quelle che sono scadute, sia quelle che non sono scadute).

Ricorda inoltre che la cambiale si prescrive nel termine di 10 anni dalla sua scadenza (ai sensi di quanto previsto dall’articolo 2946 del codice civile).

Per questo motivo ti consiglio di monitorare periodicamente la scadenza del tuo titolo cambiario.

Se la cambiale è prossima alla scadenza, provvedi a notificare un atto giudiziario oppure un atto di messa in mora per interrompere la prescrizione del tuo credito.


Conclusione

La cambiale rappresenta uno strumento prezioso per la gestione dei crediti commerciali.

In alcuni casi il titolo cambiario consente al creditore di avviare un’azione esecutiva, senza dover ottenere un titolo giudiziale.

Questa caratteristica rende la cambiale particolarmente utile per preservare la liquidità di cassa e garantire sicurezza nelle transazioni.

Inoltre il titolo cambiario può essere utilizzato come strumento di garanzia poiché rafforza il diritto di credito e riduce il rischio di inadempimenti.

Tuttavia, per un corretto utilizzo della cambiale, è necessario monitorare periodicamente la sua scadenza e intervenire per conservare la sua efficacia.

Se hai intenzione di sfruttare i titoli cambiari nella tua organizzazione, ti consiglio di fornire un’adeguata formazione al personale che si occuperà della custodia e conservazione.

In questo modo potrai rafforzare la tua posizione creditoria e prevenire il rischio di insolvenza.

La cambiale - benefici per la gestione dei crediti


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Teresa Rossi

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Minimo vitale - copertina

Minimo vitale: introduzione

Il minimo vitale può costituire un ostacolo all’avvio dell’attività esecutiva ed è collegato al pignoramento della pensione.

Si tratta di un argomento importante che può vanificare i tuoi sforzi di recupero, rendendo antieconomica l’attività giudiziale.

Infatti nel caso in cui non sia possibile ottenere il pagamento spontaneo del credito insoluto, è possibile pignorare i redditi periodici della controparte (come stipendio o pensione).

Tuttavia il reddito da pensionamento non è pignorabile per intero e la legge prevede che solo una parte può essere destinata a soddisfare il creditore in sede processuale.

In questo articolo ti spiegherò come calcolare in anticipo il minimo vitale e quando conviene pignorare la pensione del debitore.

Se il reddito periodico percepito dalla controparte è troppo esiguo dovrai individuare delle strategie alternative di recupero per risolvere la tua crisi finanziaria.

Ma prima di proseguire voglio fornirti alcune definizioni preliminari.

Minimo vitale: definizione

Il minimo vitale è la soglia minima di reddito necessaria per garantire a un individuo il soddisfacimento dei bisogni fondamentali.

Se il debitore è pensionato la legge stabilisce che solo una parte della pensione può essere trattenuta per il recupero del credito.

Infatti il minimo vitale rappresenta una quota impignorabile della pensione, che non può essere colpita dall’azione esecutiva e che rimane nella disponibilità del debitore.

In particolare il reddito da pensione può essere erogato in favore di individui di età avanzata e in alcuni casi tale cifra potrebbe rappresentare l’unica fonte di sostentamento per il soggetto che ne beneficia.

Per questo motivo la legge ha introdotto l’istituto del minimo vitale, al fine di assicurare una vita dignitosa ai cittadini che percepiscono tale emolumento.

L’attività esecutiva deve tutelare le esigenze del creditore ma deve tenere conto dell’impatto sociale ed etico che il pignoramento può avere sulla vita quotidiana della parte debitrice.

Pertanto il minimo vitale rappresenta una possibile “minaccia” da conoscere e prevenire per una corretta gestione dei crediti insoluti.

Per mitigare i rischi di insolvenza è importante effettuare una valutazione preliminare sulle fonti di reddito percepite dai futuri clienti.

In particolare se la controparte è una persona fisica in età avanzata o titolare di impresa individuale, l’analisi previsionale sulla sua solidità economica può aiutare a prevenire eventuali crisi finanziarie.

Minimo vitale: il pignoramento della pensione

Il minimo vitale e il pignoramento della pensione sono due argomenti spesso collegati tra di loro.

Il pignoramento della pensione è una procedura esecutiva che consente a un creditore di recuperare il credito attraverso il prelievo forzoso di una parte della pensione percepita dal debitore.

Questa forma di pignoramento rientra nella categoria del pignoramento presso terzi che si avvia quando il debitore ha crediti o beni che non sono direttamente nella sua disponibilità ma sono detenuti da un terzo.

Nel caso delle pensioni il terzo è rappresentato dall’INPS (Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale).

La pensione non può essere pignorata per intero ma devono essere rispettati dei limiti per permettere al beneficiario di vivere in condizioni di stabilità economica.

Se il debitore percepisce una pensione è possibile sottoporre a pignoramento solo la somma eccedente il minimo vitale.

Nel prossimo paragrafo ti spiegherò quali sono le soglie da rispettare per calcolare in modo corretto il minimo vitale.

Assegno sociale 2025

Il minimo vitale è un importo che la legge considera impignorabile per garantire al pensionato un’esistenza dignitosa e corrisponde alla misura dell’assegno sociale aumentata del doppio (come stabilisce l’articolo 545, comma 7, del codice di procedura civile).

Tale prestazione economica viene erogata dall’INPS ai soggetti che si trovano in situazioni economiche difficili e non percepiscono un reddito sufficiente per il proprio sostentamento.

L’ammontare dell’indennità può variare di anno in anno perché è soggetto alla rivalutazione annuale dei prezzi al consumo effettuata dall’Istat (Istituto Nazionale di Statistica).

Nel 2025 l’importo dell’assegno sociale è pari a euro 538,69.

Il doppio di tale valore è pari a euro 1.077,38 e corrisponde alla quota impignorabile.

Pertanto è necessario tenere in considerazione questo limite e calcolare il residuo che potrà essere pignorato prima di avviare l’attività esecutiva.

Minimo vitale: esempio pratico

Per spiegarti meglio l’istituto giuridico del minimo vitale voglio fornirti un esempio pratico.

Se il debitore percepisce una pensione di euro 2.000,00 dovrai sottrarre da questo importo il mimino vitale (impignorabile) che è pari ad euro 1.077,38.

Il risultato di questa sottrazione è pari a euro 922,62.

Di conseguenza il creditore potrebbe “aggredire” soltanto la somma residua ottenuta dopo il calcolo (euro 922,62).

In seguito sarà necessario calcolare l’importo che potrà essere assegnato in caso di pignoramento.

Infatti la legge consente di pignorare fino a 1/5 (un quinto) della parte eccedente il minimo vitale (come stabilisce l’articolo 545, comma 4, del codice di procedura civile).

Pertanto la quota che potrebbe essere assegnata al creditore potrebbe essere pari a euro 184,52 (a condizione che non vi siano precedenti pignoramenti già gravanti sulla pensione del debitore).

Minimo vitale: nuovo limite

Di recente il legislatore ha introdotto la soglia minima di euro 1.000,00 anche nel caso in cui il doppio dell’assegno sociale risultasse inferiore a questa cifra (come stabilisce l’articolo 545, 7° comma del codice di procedura civile).

In altre parole, la pensione non può essere pignorata fino a euro 1.000,00 qualunque sia il valore dell’assegno sociale.

Ti fornisco un esempio pratico.

Se in un determinato anno futuro (rispetto all’anno attuale), una persona dovesse percepisce una pensione pari a 1.500,00 euro al mese e il doppio dell’assegno sociale dovrebbe essere pari (per quell’anno) a euro 900,00, allora il limite di impignorabilità si eleverebbe fino a 1.000,00 euro.

Infatti, proseguendo nell’esempio, sulla pensione pari a euro 1.500,00 solo la parte eccedente la cifra di euro 1.000,00 (cioè euro 500,00) potrebbe essere soggetta a pignoramento.

Di conseguenza il creditore potrebbe pignorare solo 1/5 (un quinto) di euro 500,00 e cioè la cifra di euro 100,00.

Pertanto in questo esempio (che ti ho fornito solo per spiegarti meglio come effettuare i calcoli), il minimo vitale impignorabile sarebbe maggiore rispetto al doppio dell’assegno sociale (poiché la legge ha fissato il limite di euro 1.000,00 a maggior tutela del debitore).

Riforma Cartabia

Il superiore limite è stato introdotto dalla Riforma Cartabia (approvata con la legge n. 134-2021) con l’obiettivo di garantire ai pensionati un reddito minimo essenziale a prescindere dal valore dell’assegno sociale (che è mutevole e cambia ogni anno in base alle indicazioni fornite dall’INPS).

Tuttavia ricorda che nel 2025 il doppio dell’assegno sociale è già superiore a euro 1.000,00 (ed è pari a euro 1.077,38).

Pertanto la quota impignorabile da detrarre dovrà essere maggiore rispetto all’importo di euro 1.000,00 (soglia indicata dall’articolo 545, comma 7, del codice di procedura civile).

Grazie a questi parametri è possibile effettuare delle proiezioni di incasso per orientare l’attività esecutiva verso scelte consapevoli e vantaggiose.

Minimo vitale: la pensione sul conto

Il calcolo del minimo vitale impignorabile cambia ulteriormente nei casi in cui la pensione viene accreditata sul conto corrente del debitore.

Il pignoramento del conto corrente è uno strumento giuridico utilizzato per bloccare i fondi del debitore inadempiente al fine di soddisfare il credito vantato dal creditore.

Tale procedura esecutiva è regolata dall’articolo 543 del codice di procedura civile, il quale disciplina il procedimento di pignoramento presso terzi.

Se l’importo della pensione è stato già accreditato sul conto corrente del debitore prima dell’avvio del pignoramento, è possibile trattenere solo un quinto della somma che supera il triplo dell’assegno sociale (come stabilisce l’articolo 545, comma 8, del codice di procedura civile).

Questo importo (misura dell’assegno sociale moltiplicata per tre) nell’anno 2025 è pari a euro 1.616,07.

Ti fornisco un esempio pratico.

Se il debitore ha un saldo positivo di euro 2.500,00 euro sul conto corrente, il pignoramento iniziale si applicherà solo sulla parte eccedente questa soglia ([euro 2.500,00] meno [euro 1.616,07]) che è pari a euro 883,93.

Di conseguenza, l’importo pignorabile sarà un quinto di euro 883,93, ossia euro 176,79 (a condizione che non vi siano precedenti pignoramenti già gravanti sulla pensione del debitore).


Minimo vitale: quando conviene il pignoramento

Minimo vitale - quando conviene il pignoramento

Se il debitore si trova in condizioni economiche precarie il pignoramento può rivelarsi una soluzione poco vantaggiosa.

La procedura esecutiva non sempre permette al creditore di recuperare il credito in modo soddisfacente.

Infatti per rispettare la legge ed evitare inutili costi giudiziari è necessario individuare in anticipo quale sarà la somma mensile effettivamente recuperabile.

Se l’importo della pensione percepita dal debitore è troppo esiguo il creditore potrebbe incassare una cifra ridotta e l’avvio della procedura esecutiva potrebbe risultare non profittevole.

In questo caso le spese legali e le tempistiche necessarie per ottenere un’ordinanza di assegnazione potrebbero non giustificare gli sforzi rispetto al reale beneficio economico.

Pertanto, prima di intraprendere azioni esecutive è utile analizzare la sua situazione finanziaria e reddituale della controparte per capire qual è la strategia migliore da adottare.

Minimo vitale: indagini preliminari

Il minimo vitale costituisce un limite che può essere superato effettuando delle indagini patrimoniali sulla solvibilità del debitore.

Queste analisi preliminari assumono molta importanza quando il creditore decide di avviare l ‘attività esecutiva a causa delle soglie di impignorabilità prevista dalla legge.

Infatti non è conveniente avviare un’azione di recupero su una sola fonte di reddito (pensione) perché quest’ultima è parzialmente protetta.

Le indagini patrimoniali permettono di fornire una visione completa della situazione economica del debitore e di individuare tutte le fonti di reddito o l’elenco di beni (mobili o immobili) che potranno essere pignorati.

Queste informazioni consentono al creditore di pianificare l’attività di recupero del credito e stabilire quali risorse finanziarie potranno essere effettivamente aggredite per soddisfare il credito.

In questo modo il creditore può esaminare in anticipo le prospettive di incasso ed evitare spreco di risorse.

Minimo vitale: esame del cedolino 

Il minimo vitale impignorabile può essere calcolato esaminando il cedolino della pensione percepita dal debitore.

Questo documento riassume tutti i dettagli relativi al pagamento della pensione e viene predisposto dall’INPS o da altri enti previdenziali.

Il cedolino contiene diverse voci che spiegano come viene calcolato l’importo erogato al pensionato.

In particolare il documento contiene l’indicazione delle seguenti voci:

  • importo lordo della pensione;
  • importo delle trattenute fiscali e contributive;
  • importo delle eventuali ritenute (come la cessione del quinto o precedenti pignoramenti);
  • importo netto accreditato al debitore.

L’analisi dettagliata del cedolino permette di verificare se l’ammontare della quota pignorabile della pensione è sufficiente per avviare l’attività esecutiva.

Tale valutazione dovrà essere effettuata detraendo il minimo vitale impignorabile dal totale percepito dal debitore.

Minimo vitale: il calcolo

Per calcolare il minimo vitale e determinare la quota pignorabile è necessario individuare l’ammontare netto della pensione.

Tale cifra si ottiene sottraendo dall’importo lordo una serie di voci presenti all’interno del cedolino come ad esempio:

  • i contributi previdenziali;
  • le imposte;
  • le detrazioni per carichi di famiglia;
  • le trattenute per prestiti o altri pignoramenti.

Il risultato ottenuto da questa operazione (il cosiddetto “netto”) è l’emolumento effettivo che il pensionato percepisce ogni mese sul conto corrente e sul quale verrà calcolata la quota pignorabile.

Una volta determinato il “netto”, il passo successivo è confrontarlo con il minimo vitale, il cui ammontare varia ogni anno per equilibrare il trattamento pensionistico alla variazione dei prezzi dei beni di consumo.

L’importo pignorabile è risultato ottenuto dalla sottrazione tra pensione netta e minimo vitale.

Quest’ultima cifra dovrà essere divisa in 5 per individuare il quinto (1/5) pignorabile secondo i parametri previsti dalla legge.

Minimo vitale: età del debitore e risk management

La tutela del minimo vitale può ostacolare l’attività esecutiva e assume rilevanza quando il debitore è anziano.

Nella gestione dei rapporti commerciali l’età del cliente è un fattore che può essere sottovalutato ma che invece diventa significativo in caso di insolvenza.

Il creditore, nella valutazione del rischio creditizio (risk management)dovrebbe tenere conto anche del profilo anagrafico dei futuri clienti poiché la loro età potrebbe fornire indicazioni sulla capacità economica di saldare i debiti.

Se il debitore ha un’età al di sotto dei 50 anni, si trova in una fase intermedia della vita lavorativa, condizione che accresce le possibilità di guadagnare emolumenti e accumulare risparmi.

Al contrario, una controparte che percepisce una pensione di vecchiaia potrebbe disporre di un reddito insufficiente per il recupero del credito a causa della tutela del minimo vitale.

In questi casi è preferibile offrire soluzioni di pagamento più brevi (senza concedere troppo dilazioni) per minimizzare il rischio di insolvenza ed evitare l’avvio di azioni esecutive infruttuose.

Un’altra soluzione potrebbe essere richiedere maggiori garanzie o il coinvolgimento di un coobbligato più giovane che possa ridurre il rischio di insolvenza.


Minimo vitale: alternative al pignoramento della pensione

Minimo vitale - alternative al pignoramento della pensione

La tutela del minimo vitale può rendere il pignoramento della pensione poco conveniente o addirittura antieconomico.

In alcuni casi è preferibile non avviare questo tipo di esecuzione soprattutto se il debitore percepisce un importo mensile molto esiguo.

Tale circostanza può mettere in crisi il creditore poichè influisce in modo negativo sul flusso di cassa e riduce la liquidità disponibile per far fronte alle necessità aziendali.

Il pignoramento della pensione è una delle opzioni disponibili per il recupero del credito ma non è l’unico rimedio a disposizione del creditore.

Anche se non è possibile agire direttamente sulla pensione del debitore il credito è giuridicamente valido e l’obbligazione di pagamento esigibile.

Il creditore ha ancora il diritto di recuperare le somme dovute ma potrà optare per soluzioni alternative più efficaci.

Pignoramento del garante

Quando il minimo vitale rende la pensione impignorabile è possibile verificare se il debito è assistito da una garanzia personale.

Il garante, infatti, è colui che risponde dell’adempimento di un debito altrui obbligandosi personalmente verso il creditore (come stabilisce l’articolo 1936 del codice civile).

Tale soggetto è una persona fisica che si impegna a soddisfare il debito dell’obbligato principale qualora quest’ultimo non sia in grado di farlo.

Pertanto la presenza di un secondo debitore (anche definito “coobbligato”) aumenta le probabilità di recupero integrale del credito.

In questo modo se il pignoramento della pensione risulta antieconomico a causa del minimo vitale, il creditore può rivolgersi al garante.

Quest’ultimo, infatti, risponde del debito con tutto il suo patrimonio (garanzia personale) a meno che non vi siano particolari limitazioni o protezioni sui redditi.

L’inserimento di clausole di garanzia è uno dei primi passi che un imprenditore può compiere per rafforzare la sua posizione nell’accordo commerciale.

Tali clausole, infatti, consentono al creditore di ampliare la responsabilità sulle obbligazioni di pagamento in modo che vi siano più soggetti a cui richiedere l’adempimento.

Pignoramento immobiliare

Se l’importo pignorabile della pensione è troppo esiguo (a causa del minimo vitale) allora il creditore potrà valutare di recuperare il credito tramite un’esecuzione immobiliare.

Attraverso questo giudizio si procede con la vendita forzata degli immobili del debitore e il ricavato dell’asta verrà utilizzato per soddisfare i creditori.

La decisione di avviare un pignoramento immobiliare dipende soprattutto dall’entità del credito.

Se tale importo è esiguo, potrebbe non essere conveniente procedere in questa direzione poiché i costi legati alla procedura (spese e compensi legali) potrebbero risultare troppo onerosi.

Di solito, il pignoramento immobiliare viene considerato una soluzione efficace quando l’importo del credito è abbastanza alto da giustificare l’investimento di tempo e denaro per avviare l’esecuzione.

Infatti, prima di procedere è utile effettuare delle ispezioni ipotecarie per valutare lo stato giuridico dell’immobile e verificare se sono presenti altre ipoteche o formalità pregiudizievoli sul bene.

Se l’immobile è privo di gravami e il suo valore è sufficientemente alto, potrebbe essere utile iscrivere un’ipoteca giudiziale e avviare successivamente il pignoramento.

Tuttavia, se sull’immobile esistono ipoteche preesistenti e il suo valore commerciale non è molto alto, potrebbe essere più prudente evitare l’iscrizione dell’ipoteca.

Accordo transattivo

Se l’importo pignorabile della pensione è troppo esiguo (a causa del minimo vitale) allora è possibile avviare una trattativa stragiudiziale con il debitore.

In questo modo è possibile definire la controversia e trovare una soluzione condivisa, rinunciando a una parte delle proprie pretese.

Infatti, anche se una quota della pensione è protetta e non pignorabile, il debitore potrebbe formulare un’offerta transattiva al fine di estinguere il proprio debito.

In questi casi, piuttosto che procedere con azioni legali complesse e costose, potrebbe essere più vantaggioso concordare un piano di rientro o un saldo e stralcio.

La prima forma di accordo permette al debitore di saldare il debito attraverso rate mensili compatibili con la sua capacità economica.

Nel secondo caso, invece, il creditore potrà accettare il pagamento immediato di una somma inferiore rispetto al totale dovuto.

Pertanto, l’accordo transattivo consiste in una soluzione in cui entrambe le parti ottengono una vittoria (cd. soluzione “win-win”).

Conseguenze per gli eredi

La garanzia del minimo vitale può ostacolare il pignoramento della pensione ma non tutela gli eredi del debitore.

Infatti in caso di decesso del soggetto su cui grava l’obbligo di pagamento, i debiti debiti maturati dal defunto possono essere trasmessi agli eredi.

Pertanto, nella spiacevole eventualità che il pensionato venga a mancare, i parenti più vicini dovranno decidere se accettare o meno l’eredità.

Nel caso di accettazione, i debiti si trasmetteranno ai successori del defunto (anche denominato “de cuius”) e il creditore potrà avanzare la richiesta di pagamento nei loro confronti.

La legge prevede che la rinuncia all’eredità deve essere formalizzata con un atto pubblico o una scrittura privata autenticata presso un notaio o depositata in tribunale.

L’applicazione di questa procedura formale garantisce la trasparenza delle successioni e attribuisce all’atto di rinuncia valore di pubblicità legale.

Al contrario l’accettazione dell’eredità non prevede delle formalità specifiche, ma può essere desunta dal comportamento degli eredi (e dai cd. “atti dispositivi” del patrimonio del defunto).

Pertanto il creditore potrà effettuare i controlli necessari per individuare la presenza di eventuali eredi contro i quali si potrà avviare l’azione esecutiva.


Conclusione

La presenza del minimo vitale tutela i diritti fondamentali del debitore ma allo stesso tempo permette al creditore di evitare azioni esecutive infruttuose.

Prima di avviare il pignoramento della pensione è utile effettuare delle indagini preliminari e valutare la situazione economica della controparte.

In questo modo il creditore potrà verificare quali saranno le prospettive di incasso per scegliere in anticipo la strategia migliore da adottare.

L’età del debitore, infatti, può influire sulla sua capacità di rispettare gli obblighi contrattuali e sulla stabilità delle sue entrate.

L’analisi di questi aspetti aiuta un’impresa a costruire accordi sostenibili e adeguati al profilo della controparte, riducendo il rischio di insolvenza.

Minimo vitale - alternative pignoramento pensione - grafico


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Decreto ingiuntivo rigettato - copertina

Decreto ingiuntivo rigettato: Introduzione

Il decreto ingiuntivo rigettato rappresenta una delle possibili conclusioni del procedimento monitorio.

Quest’ultimo è un giudizio civile finalizzato a ottenere in modo rapido e semplificato un titolo esecutivo (come l’ingiunzione di pagamento) nei confronti di un debitore.

Se devi recuperare un credito insoluto e decidi di avviare una causa giudiziale il giudice potrà accogliere il tuo ricorso oppure rigettarlo.

Pertanto intraprendere un’azione legale non garantisce necessariamente la vittoria processuale.

In questo articolo ti spiegherò in quali casi il Tribunale potrà rigettare il tuo ricorso o richiedere un’integrazione documentale.

In questo modo potrai prepararti in anticipo per evitare errori e sorprese spiacevoli.

Ma prima di proseguire è necessario che ti spieghi alcuni concetti preliminari.

Decreto ingiuntivo rigettato: definizione

Il decreto ingiuntivo rigettato è quella decisione con cui il giudice respinge la richiesta del creditore istante.

Il decreto ingiuntivo è un provvedimento giudiziale con cui il giudice ordina al debitore il pagamento di una somma di denaro o l’adempimento di una determinata obbligazione (come stabilisce l’articolo 633 del codice di procedura civile).

Infatti il creditore può avviare l’esecuzione forzata solo dopo avere ottenuto un titolo esecutivo nei confronti del debitore (come stabilisce l’articolo 474 del codice di procedura civile).

In particolare il decreto ingiuntivo, notificato e non opposto, è il primo passo dell’iter procedurale che consente al creditore di avviare una procedura esecutiva.

Il rigetto del decreto, invece, scaturisce da una valutazione negativa da parte del giudice.

La motivazione del rigetto può dipendere da vari fattori quali l’insufficienza delle prove prodotte o la presenza di vizi procedurali.

La principale conseguenza giuridica di questa “bocciatura” è il prolungamento dei tempi necessari affinché il creditore possa recuperare il credito insoluto.

Decreto ingiuntivo rigettato: richiesta di integrazione

In caso di decreto ingiuntivo rigettato il giudice provvederà a indicare i motivi per i quali ha deciso di respingere la domanda (come stabilisce l’articolo 640 del codice di procedura civile).

La motivazione del rigetto può aiutare il creditore a correggere la propria istanza nel caso in cui decidesse di presentarla di nuovo in un momento successivo.

Dopo aver incaricato un procuratore giudiziale (avvocato), il creditore dovrà produrre insieme al ricorso anche i documenti che provano l’esistenza del diritto di credito.

In particolare il credito che dovrà essere certo, liquido ed esigibile (come stabilisce l’articolo 474 del codice di procedura civile)

In caso contrario il giudice inviterà il creditore a integrare la documentazione prodotta.

Se il ricorrente non provvede, oppure deposita prove ritenute insufficienti dal giudice, il ricorso verrà rigettato (come stabilisce l’articolo 640 del codice di procedura civile).

Pertanto, prima di depositare il ricorso per decreto ingiuntivo è necessario raccogliere e conservare le prove che attestano l’esistenza del credito.

Decreto ingiuntivo rigettato: prove da fornire

Nel caso in cui il giudice richieda un’integrazione documentale, allora il creditore dovrà presentare ulteriori prove e documento che possano sostenere la sua istanza.

In particolare alcuni documenti sono necessari per dimostrare l’esistenza di un rapporto giuridico tra creditore e debitore.

Allo stesso modo è necessario provare l’ammontare dell’importo dovuto e gli eventuali pagamenti rateali non rispettati dalla controparte.

Le principali prove che attestano la legittimità della pretesa creditoria sono le seguenti:

  • contratto firmato da entrambe le parti;
  • corrispondenza con il debitore;
  • fatture insolute.

Il contratto rappresenta l’elemento fondamentale che dimostra l’esistenza di un accordo tra le parti.

Questo documento descrive le modalità di esecuzione della prestazione, il corrispettivo pattuito e le relative scadenze.

La presenza di un contratto sottoscritto tra le parti riduce molto il rischio di future contestazioni dilatorie da parte del debitore, appositamente formulate per ritardare il pagamento.

In particolare se le parti non hanno stipulato un contratto, è possibile dimostrare l’esistenza del rapporto giuridico attraverso la produzione della corrispondenza scambiata tra i contraenti (es. email, messaggi in chat, lettere).

Inoltre le comunicazioni inviate al debitore sono utili per interrompere la prescrizione del credito e per sollecitare l’adempimento dell’obbligazione di pagamento.

Le fatture insolute, invece, sono i documenti contabili che quantificano con precisione l’esatto ammontare del credito insoluto.

In molti casi è possibile ottenere l’accoglimento del ricorso per decreto ingiuntivo allegando le fatture non pagate senza produrre il contratto.

Tuttavia, al fine di evitare contestazioni sulla prestazione, è preferibile stipulare un accordo scritto con la controparte per disciplinare tutti gli aspetti più controversi del rapporto.

Decreto ingiuntivo rigettato: diffida al debitore

In alcuni casi il decreto ingiuntivo potrebbe essere rigettato a causa della mancata produzione della lettera di diffida.

Attraverso questo documento il creditore  fornisce al debitore un ultimo avviso per corrispondere l’importo dovuto prima di ricorrere alle vie giudiziarie.

La diffida, infatti, ha la funzione di informare la controparte del suo inadempimento offrendo a quest’ultimo un’ultima opportunità per saldare il debito.

L’invio dell’intimazione di pagamento non è un requisito obbligatorio previsto dalla legge per ottenere il decreto ingiuntivo.

Infatti il giudice può decidere di accogliere il ricorso anche in assenza di tale comunicazione.

Tuttavia, in molti casi, la produzione delle lettere di diffida possono favorire l’accoglimento del ricorso per ingiunzione.

Infatti la presenza di una fitta corrispondenza tra le parti potrebbe dimostrare all’organo giudicante che il creditore ha compiuto tutti gli sforzi possibili per definire la controversia senza ricorrere in giudizio.

In ogni caso l’invio di una lettera di diffida è discrezionale e non sempre condiziona l’esito del procedimento monitorio.

In ogni caso prima di avviare un contenzioso giudiziale è preferibile inviare un atto di messa in mora per interrompere i termini di prescrizione.

Decreto ingiuntivo rigettato: mancato accoglimento

Il decreto ingiuntivo rigettato può essere il risultato della carenza di prove a sostegno della pretesa creditoria.

In molti casi il giudice non rigetterà immediatamente il ricorso ma inviterà il creditore a integrare la documentazione prodotte entro un termine ragionevole (di solito 15 o 30 giorni).

In seguito il cancelliere provvederà a notificare tale comunicazione al ricorrente (come stabilisce l’articolo 640 del codice di procedura civile).

Nel caso in cui il creditore non risponderà tempestivamente all’invito di integrazione, allora il giudice emetterà un provvedimento motivato che sancirà il rigetto della domanda (come stabilisce l’articolo 640 del codice di procedura civile).

In altri casi il decreto ingiuntivo rigettato può essere causato da un vizio procedurale.

In particolare l’incompetenza dell’ufficio giudiziario adito (Tribunale o Giudice di Pace) può spingere il giudice a provvedere al rigetto.

Allo stesso modo la richiesta di ingiunzione può essere respinta se il diritto di credito non è provato in forma scritta.

Pertanto il decreto ingiuntivo può essere rigettato per ragioni di merito o per errori di rito.

Decreto ingiuntivo rigettato: mezzi di impugnazione

Il decreto ingiuntivo rigettato non può essere impugnato da parte del creditore poiché è un atto processuale che non chiude la controversia in modo definitivo.

Infatti il ricorrente ha la possibilità di riproporre la sua istanza senza essere vincolato da una decisione irrevocabile.

Il provvedimento di rigetto, a differenza di una sentenza definitiva, non ha l’efficacia giuridica del “giudicato” e non definisce il contenzioso in modo permanente.

In particolare la giurisprudenza (Sezioni Unite della Corte di Cassazione – sentenza n. 9216 del 19 aprile 2010) ha specificato che non è possibile proporre impugnazione né per regolamento di competenza né per ricorso ai sensi dell’art. 111 della Costituzione poiché “[…] il provvedimento, adottato inaudita altera parte, di rigetto della “domanda d’ingiunzione”, non pregiudica la riproposizione della domanda anche in via ordinaria e che […] non è ricorribile per Cassazione neppure ai sensi dell’art. 111 Cost., in quanto insuscettibile di passare in cosa giudicata“.

L’impossibilità di impugnare il rigetto del decreto ingiuntivo serve a preservare la natura rapida e snella del procedimento monitorio.

Infatti quest’ultimo è stato ideato per ottenere un provvedimento giudiziale di condanna con tempi e formalità differenti rispetto a un procedimento giudiziale ordinario.

Pertanto il creditore non potrà impugnare la decisione di rigetto del giudice ma potrà ripresentare il ricorso in una fase successiva.


Decreto ingiuntivo rigettato: le alternative per il creditore

Decreto ingiuntivo rigettato - le alternative per il creditore

Il decreto ingiuntivo rigettato può rallentare l’azione di recupero e può rappresentare una sconfitta per il creditore.

Tuttavia questo scenario non impedisce al creditore di ricevere il pagamento dell’insoluto con modalità differenti o in un momento successivo.

Infatti il creditore può sfruttare alcune valide alternative per definire la controversia con la controparte e risolvere una crisi finanziaria.

In particolare la legge prevede la possibilità di presentare un nuovo ricorso integrando la domanda giudiziale e i documenti che provano l’esistenza del diritto.

Allo stesso modo è possibile trovare un accordo bonario con il debitore attraverso un accordo transattivo.

Sebbene il decreto ingiuntivo rigettato possa rappresentare una battuta d’arresto, è possibile trovare delle strategie alternative per incassare il credito.

In alcuni casi è possibile anche sospendere le azioni di recupero in attesa che le condizioni iniziali (che hanno determinato il mancato accoglimento) possano mutare.

Decreto ingiuntivo rigettato: il nuovo ricorso

Il decreto ingiuntivo rigettato non impedisce al creditore di presentare un altro ricorso in un momento successivo.

Attraverso la motivazione del rigetto da parte del giudice il ricorrente ha la possibilità di correggere eventuali errori o integrare il contenuto del ricorso.

Infatti il creditore potrà produrre nuovi documenti e argomentare in modo più esaustivo il pericolo derivante dal ritardato pagamento.

In alcuni casi lo stato di insolvenza del debitore potrebbe spingere il giudice ad accogliere la domanda concedendo persino la provvisoria esecuzione.

Inoltre all’interno del nuovo ricorso è molto importante specificare che il primo è stato rigettato, spiegando i motivi per i quali la precedente istanza non ha convinto il giudice.

In questo modo si offre al tribunale la possibilità di analizzare la nuova domanda giudiziale per verificare se le condizioni iniziali sono mutate.

Quando il credito non è fondato su prova scritta, il creditore potrà avviare una contenzioso civile ordinario per ottenere il pagamento da parte del debitore (come prevede l’articolo 640 del codice di procedura civile).

In questo caso si aprirà un giudizio di cognizione che avrà una durata più lunga di quella del procedimento monitorio.

Al termine del procedimento il giudice definirà la controversia attraverso un differente atto giudiziario denominato “sentenza“.

La trattativa stragiudiziale

Nel caso in cui il decreto ingiuntivo viene rigettato, esistono delle soluzioni alternative per recuperare il credito insoluto.

Una delle opzioni più efficaci è quella di avviare una trattativa con la controparte, al fine di transigere la controversia senza l’instaurazione di un procedimento giudiziale.

In questi casi il potere negoziale del creditore potrebbe essere compromesso se il debitore venisse a conoscenza del rigetto del ricorso per decreto ingiuntivo.

Pertanto è necessario effettuare un’analisi preliminare della posizione per individuare la strategia di recupero più efficace.

Al termine della negoziazione il creditore potrà definire la controversia proponendo alla controparte alcune soluzioni tra cui:

  • accordo di piano di rientro;
  • accordo di saldo e stralcio.

Nel primo caso le parti raggiungeranno un accordo che consente al debitore di pagare il debito in rate dilazionate nel tempo.

Di solito il piano di rientro viene concesso sull’importo totale dell’esposizione debitoria, comprensivo di interessi e spese, senza concedere riduzioni.

Il saldo e stralcio, invece, è una soluzione con cui il debitore si impegna a pagare una somma inferiore rispetto all’importo totale del credito.

In molti casi il creditore potrà accettare un pagamento ridotto a condizione che il versamento sia effettuato in unica soluzione e in tempi brevi.

Accordo con clausola di profit sharing

Il decreto ingiuntivo rigettato non impedisce al creditore di raggiungere un nuovo accordo economico con il debitore.

In ambito societario esiste una soluzione vantaggiosa per le società che che hanno un elevato potenziale di crescita economica ma non dispongono di liquidità immediata.

Si tratta dell’accordo transattivo con cui le parti rinegoziano il credito applicando una clausola di profit sharing (partecipazione agli utili).

Questa soluzione viene utilizzata dalle startup come mezzo di incentivazione per i nuovi dipendenti, poiché lega la retribuzione ai risultati economici ottenuti dal datore di lavoro.

In linea teorica sarebbe possibile applicare questa soluzione anche ai rapporti di credito-debito raggiungendo un accordo che possa tutelare gli interessi contrapposti di entrambe le parti.

In questo modo il debitore potrebbe impegnarsi a destinare al creditore una percentuale dei futuri guadagni o del reddito generato da una determinata attività (o linea di business) fino alla completa estinzione del debito originario.

L’ammontare degli utili potrebbe essere di importo fisso o variabile e potrebbe essere commisurato in base ai seguenti parametri:

  • importo complessivo dell’esposizione debitoria;
  • potenzialità di crescita della società debitrice.

Un eventuale accordo con clausola di profit sharing potrebbe costituire una buona soluzione di definizione stragiudiziale di una controversia.

Tuttavia è necessario effettuare un’analisi legale approfondita per verificare se la società debitrice possiede delle prospettive di crescita molto alte.


Conclusione

Il decreto ingiuntivo rigettato rappresenta un risultato processuale negativo per il creditore che può essere ribaltato anche in una fase successiva.

In primo luogo è possibile prevenire un’eventuale pronuncia negativa da parte del giudice raccogliendo in modo completo tutta la documentazione.

In particolare la mancanza o l’insufficienza di prove che dimostrino l’esistenza del diritto di credito possono compromettere l’esito favorevole del giudizio.

Tuttavia in caso di decreto ingiuntivo rigettato, il creditore avrà ulteriori soluzioni per ottenere un provvedimento giudiziale di condanna.

Infatti, nel caso in cui emergessero nuovi elementi di prova o documenti utili sarà possibile riproporre il ricorso.

Inoltre il rigetto del ricorso non preclude la possibilità di avviare una trattativa stragiudiziale con il debitore al fine di transigere il contenzioso e recuperare il credito insoluto.

Decreto ingiuntivo rigettato - alternative - grafico


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Teresa Rossi

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Mutuo fondiario - copertina

Mutuo fondiario: introduzione

Il mutuo fondiario è il sovrano indiscusso delle esecuzioni immobiliari.

Se vuoi recuperare un credito, ma prima di te esiste un creditore fondiario, devi sapere che le tue possibilità di successo diminuiscono.

Nel pignoramento immobiliare il creditore fondiario ha una carta vincente che lo pone in una posizione privilegiata rispetto agli altri creditori.

Se deciderai di costituirti in un’esecuzione immobiliare con credito fondiario, ti ritroverai di fronte un avversario che ha in mano un “asso piglia tutto”.

Infatti se un immobile viene venduto all’asta il ricavato dell’aggiudicazione viene attribuito prima al creditore fondiario e poi agli altri (se rimane qualcosa).

In questo articolo ti spiegherò che cos’è il mutuo fondiario e quali sono i privilegi di cui gode.

Prima di proseguire voglio spiegarti alcuni concetti fondamentali.

Mutuo fondiario: definizione

Il mutuo fondiario è un contratto stipulato tra una persona fisica (o persona giuridica) e una banca per finanziare l’acquisto, la costruzione o la ristrutturazione di beni immobili.

Il termine “mutuo fondiario” è collegato al concetto di “fondo” e cioè di patrimonio immobiliare (fabbricato o terreno) che costituisce la base per la concessione del prestito.

L’istituto di credito offre al cliente la possibilità di ricevere una somma consistente di denaro che spesso viene utilizzato per comprare la prima casa.

Nella maggior parte dei casi i prezzi degli immobili sono estremamente alti e molte persone o famiglie non dispongono della liquidità necessaria per l’acquisto con fondi propri.

Infatti la concessione di un mutuo rende la spesa più sostenibile, poiché il prezzo di vendita viene versato immediatamente dall’istituto di credito al venditore, mentre l’acquirente restituisce la somma (più gli interessi) attraverso delle rate mensili.

Tuttavia il prestito fondiario viene concesso solo in presenza di determinate condizioni senza le quali la banca non può approvare la richiesta di finanziamento.

Mutuo fondiario: ipoteca di primo grado

La banca accetta di erogare il mutuo fondiario soltanto se è possibile iscrivere ipoteca di primo grado sull’immobile (ai sensi dell’articolo 38 del TUB – Testo Unico Bancario).

L’ipoteca è un diritto reale di garanzia che attribuisce al creditore (il soggetto che concede il prestito) un diritto di prelazione sul bene ipotecato in caso di inadempimento del debitore (il soggetto che riceve il prestito).

Ti fornisco un esempio pratico.

Il sig. Bianchi vuole acquistare una casa, ma non possiede la somma necessaria da versare al venditore.

A questo punto il sig. Bianchi si rivolge alla banca e chiede il prestito di una grossa somma di denaro.

La Banca valuta la richiesta del cliente e (se ricorrono tutte le condizioni) eroga il finanziamento al sig. Bianchi.

Tuttavia, per garantire la sicurezza del prestito, la banca richiede di iscrivere un’ipoteca di primo grado sull’immobile.

Un’iscrizione ipotecaria si considera di primo grado quando viene annotata per prima nei pubblici registri immobiliari.

Il creditore fondiario, in caso di aggiudicazione dell’immobile pignorato, ha il diritto di essere soddisfatto per primo rispetto agli altri creditori (che vantano un’ipoteca di secondo grado o grado successivo).

Mutuo fondiario: durata

Il credito fondiario ha per oggetto la concessione di finanziamenti a medio e lungo termine da parte di banche in favore di soggetti che vogliono acquistare un immobile (come prevede l’articolo 38 del TUB – Testo Unico Bancario).

La durata del prestito, infatti, non è breve e di solito varia da un minimo di 18 mesi fino a un massimo di 30 anni.

La distribuzione delle rate per un periodo di tempo più prolungato riduce il rischio di insolvenza del mutuatario.

Questa caratteristica del mutuo fondiario permette al cliente di dilazionare il capitale e gli interessi su un arco temporale esteso.

In questo modo i pagamenti mensili  saranno più contenuti e sostenibili.

Ti fornisco un esempio concreto.

Un mutuo di 200.000 euro della durata di 30 anni comporterebbe una rata mensile di circa 843 euro.

Al contrario, lo stesso importo concesso tramite un mutuo di durata di 10 anni genererebbe una rata mensile di circa 1.980 euro.

Questa differenza di oltre 1.100 euro renderà il mutuo a lungo termine molto più accessibile per i clienti.

La lunga durata del mutuo fondiario diminuisce il rischio di insolvenza, poiché i clienti potranno affrontare il pagamento delle rate mensili senza compromettere la loro stabilità economica.

Mutuo fondiario: importo finanziabile

Solitamente l’importo del mutuo fondiario non può superare l’80% del valore dell’immobile.

Il rapporto tra la somma chiesta in prestito e il valore dell’immobile ipotecato viene definito “Loan to Value” (o LTV ratio).

Tale indicatore serve a determinare il rischio assunto dall’istituto di credito.

Quando l’LTV è alto, la banca si espone a una maggiore probabilità di perdita, poiché se il mutuatario non pagherà le rate e l’immobile dovrà essere venduto, il valore di vendita potrebbe non coprire l’importo dovuto all’istituto di credito.

Se invece la somma mutuata (cioè finanziata) è inferiore al valore dell’immobile (LTV basso) l’istituto di credito avrà maggiori possibilità di recuperare il denaro prestato.

Pertanto, più alto è l’LTV, meno conveniente sarà concedere il mutuo (per il mutuante – ovvero il soggetto che erogherà il finanziamento).

Tutte le banche devono rispettare tali limiti per evitare l’erogazione di prestiti eccessivi rispetto alla capacità di rimborso dei clienti.

Per questo motivo l’importo massimo dei finanziamenti viene determinato in maniera uniforme e vincolante dalla Banca D’Italia (come sancisce l’articolo 38, comma 2, TUB – Testo Unico Bancario).


I privilegi del creditore fondiario

Mutuo fondiario - privilegi del creditore fondiario

Se il mutuatario (il soggetto finanziato) non pagherà le rate al creditore fondiario verranno riconosciuti dei privilegi esclusivi.

Questa forma di protezione affonda le sue radici in un principio fondamentale sancito all’interno della Costituzione italiana.

Infatti, il ricorso al mutuo fondiario facilita l’accesso alla proprietà immobiliare e contribuisce alla stabilità del mercato (la proprietà immobiliare è tutelata dall’articolo 47 della Costituzione).

Se conosci in anticipo i punti di forza del creditore fondiario potrai prepararti meglio per il recupero del tuo credito evitando spiacevoli sorprese.

Infatti capita molto spesso di dover “competere” contro una banca (e contro un mutuo fondiario) nel corso delle esecuzioni immobiliari.

Nei prossimi paragrafi ti illustrerò tutti i privilegi di cui gode il creditore fondiario, che rendono il suo credito speciale rispetto a quello degli altri creditori.

Iniziamo subito.

Mutuo fondiario: il titolo esecutivo non va notificato

Il creditore fondiario può notificare direttamente l’atto di precetto senza dovere ottenere in anticipo un titolo esecutivo.

Tale possibilità costituisce un’eccezione alla regola generale.

Il titolo esecutivo è l’atto che consente l’avvio dell’esecuzione forzata, e può essere costituito tramite un provvedimento giudiziale o atto notarile che certifica formalmente l’esistenza di un’obbligazione a carico del debitore.

Senza un titolo esecutivo, il creditore non ha la possibilità di intraprendere azioni giudiziali per il recupero del credito.

In particolare il precetto è un atto giuridico che precede il pignoramento e consente al creditore di intimare al debitore l’adempimento di un obbligo di pagamento entro un termine specifico.

In questo modo, prima di avviare l’azione esecutiva, il creditore dovrà notificare al debitore sia il titolo esecutivo sia il precetto.

Tuttavia tale regola non vale per il creditore fondiario, poiché in questo caso il contratto di mutuo attesta già l’esistenza del debito e obbliga il debitore a rimborsare il prestito ricevuto.

Nell’atto di precetto, è sufficiente indicare gli estremi del contratto di mutuo al fine di identificare in modo chiaro e preciso l’obbligazione che si intende far valere (come prevede l’articolo 41, comma 1, del TUB – Testo Unico Bancario).

Questo privilegio consente al creditore fondiario di non perdere tempo prezioso e intervenire rapidamente in caso di inadempimento del mutuatario.

Mutuo fondiario: il fallimento del debitore

Il creditore fondiario può avviare o proseguire l’esecuzione forzata anche se il debitore fallisce.

Tale possibilità costituisce un’eccezione alla regola generale.

Infatti la legge prevede che, se il debitore fallisce, il creditore non può iniziare o continuare l’esecuzione forzata (come prevede l’articolo 51 della Legge Fallimentare).

Il fallimento comporta la formazione di una massa attiva rappresentata dall’insieme di beni e diritti del debitore disponibili per il soddisfacimento delle pretese creditorie.

In questi casi il Tribunale designa un un professionista (il curatore fallimentare) che dovrà gestire in modo ordinato e trasparente il  patrimonio del debitore.

A partire da questo momento nessun creditore potrà avviare azioni esecutive e quelle già in corso vengono sospese.

Tuttavia questo divieto non si applica al creditore fondiario che, invece, può proseguire o avviare l’azione esecutiva individuale (come prevede l’articolo 41, comma 2, del TUB – Testo Unico Bancario).

Questo privilegio consente al creditore fondiario di recuperare più velocemente il suo credito senza dovere attendere l’esito della procedura fallimentare.

Mutuo fondiario: assegnazione del prezzo di aggiudicazione

Il creditore fondiario ha il diritto di ottenere il versamento del saldo prezzo subito dopo l’aggiudicazione.

Tale possibilità costituisce un’eccezione alla regola generale.

Infatti, quando un immobile viene venduto all’asta, i creditori possono ricevere i pagamenti solo dopo l’approvazione del piano di riparto.

Quest’ultimo è il documento che stabilisce il modo in cui i proventi dell’asta devono essere distribuiti tra i creditori costituiti in procedura.

Questa regola non si applica per il creditore fondiario.

L’aggiudicatario (chi compra il bene immobile in asta giudiziaria) può versare direttamente al creditore fondiario la parte del prezzo in misura corrispondente al suo credito (come stabilisce l’articolo 41, comma 4, del TUB – Testo Unico Bancario).

In particolare il creditore fondiario ha diritto di ricevere in anticipo e direttamente sul suo conto (non quello della procedura) l’80% del prezzo di aggiudicazione.

Tale incasso consente al creditore di recuperare una parte significativa del credito in tempi brevi.

Mutuo fondiario: il subentro dell’aggiudicatario 

Il creditore fondiario può ottenere il pagamento del prezzo di aggiudicazione attraverso il subentro dell’aggiudicatario nel contratto di mutuo.

Tale privilegio costituisce un’eccezione alla regola generale.

Quando un immobile viene venduto all’asta l’aggiudicatario per effettuare il saldo prezzo ha solo due possibilità.

La prima soluzione è ottenere un finanziamento o un mutuo stipulando un contratto con un ente creditizio.

La seconda è utilizzare i risparmi personali per comprare l’immobile senza rivolgersi alla banca.

L’aggiudicatario non può sostituirsi al debitore nel contratto di mutuo originario.

Pertanto i creditori costituiti in procedura dovranno sperare che il futuro acquirente abbia la liquidità necessarie per effettuare il saldo prezzo.

Il creditore fondiario, invece, può ottenere il subentro dell’aggiudicatario nel contratto originario senza richiedere l’autorizzazione del giudice (come stabilisce l’articolo 41, comma 5, del TUB – Testo Unico Bancario).

La banca avrà il diritto di ricevere il versamento delle rate scadute, oltre agli accessori e le spese, dopo 15 giorni dall’invio del conteggio.

Mutuo fondiario: esempio pratico

Il privilegio del subentro permette al creditore di ridurre il rischio di perdita totale del credito.

In questo modo il creditore fondiario ottiene il subentro e soddisfa le pretese creditorie in tempi rapidi.

Ti fornisco un esempio pratico.

Il sig. Verdi intende acquistare una casa all’asta.

Tuttavia l’immobile è venduto al prezzo di 100 euro ma il sig. Verdi ha solo 50 euro.

La legge permette al sig. Verdi di versare l’importo di 50 euro alla banca e di subentrare nel contratto di mutuo stipulato dall’originario debitore.

In questo modo il creditore fondiario (la banca) riceve il pagamento delle rimanenti 50 euro attraverso il versamento delle rate mensili da parte dell’aggiudicatario.


Conclusione

Il creditore fondiario gode di numerosi privilegi processuali che possono influenzare in modo significativo l’esito della procedura esecutiva.

In caso di vendita dell’immobile la presenza di un creditore fondiario riduce notevolmente la possibilità di recupero da parte dei creditori “ordinari” (sia quelli ipotecari, di grado successivo, sia quelli “chirografari”).

Pertanto, prima di procedere con un pignoramento immobiliare, ti consiglio di chiedere supporto a uno studio legale specializzato in crediti ipotecari.

In questo modo, attraverso un esame delle ispezioni ipotecarie, potrai valutare la situazione giuridica dell’immobile e scegliere la strategia di recupero più efficace.

Mutuo fondiario - principali privilegi del creditore fondiario


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Pignoramento dello stipendio - copertina

Pignoramento dello stipendio: introduzione

Il pignoramento dello stipendio è uno dei principali strumenti utilizzati per ottenere il pagamento di un credito insoluto.

Questa procedura consente al creditore di recuperare le somme dovute trattenendo una parte del reddito percepito dal debitore.

La decisione di avviare un pignoramento presso terzi deve essere ben ponderata e va presa con l’ausilio di professionisti esperti in diritto dell’esecuzione civile.

La legge infatti stabilisce tempi, modalità e limiti che devono essere scrupolosamente rispettati per evitare che l’azione esecutiva sia inefficace o addirittura dannosa per il creditore.

In questo articolo ti fornirò delle linee guida utili da seguire per pignorare in modo corretto lo stipendio del debitore.

Prima di iniziare voglio fornirti alcune definizioni preliminari.

Pignoramento presso terzi: definizione

Il pignoramento presso terzi è una forma di esecuzione forzata che ha per oggetto beni mobili del debitore in possesso di terzi o crediti che egli vanta nei confronti di terzi (come prevede l’articolo 543, comma 1 ,del codice di procedura civile).

I beni mobili in possesso di soggetti terzi costituiscono delle potenziali entrate che possono essere bloccate e destinate a soddisfare il creditore.

Analogamente anche i crediti che il debitore vanta nei confronti di ulteriori debitori possono essere colpiti dal pignoramento presso terzi.

Il pignoramento presso terzi  richiede il coinvolgimento di tre figure fondamentali e precisamente:

  • il creditore procedente: il soggetto che avvia l’attività esecutiva notificando al debitore e al terzo l’atto di pignoramento;
  • il debitore pignorato: colui che è obbligato a effettuare il pagamento in favore del creditore sulla base di un titolo esecutivo;
  • il terzo pignorato: il soggetto che ha un obbligo pecunario verso il debitore o detiene beni di proprietà di quest’ultimo.

Attraverso questa procedura di espropriazione il giudice ordinerà direttamente al terzo pignorato di effettuare in favore del creditore il pagamento dell’importo dovuto dal debitore.

Pertanto il pignoramento dello stipendio è qualificato come un pignoramento presso terzi che colpisce la retribuzione del debitore e consente al creditore dei pagamenti periodici da parte del datore di lavoro.

Anche il pignoramento di un conto corrente è effettuato con le forme dell’espropriazione presso terzi, poiché la Banca viene qualificata come “terzo pignorato”.

Redditi impignorabili

La legge prevede che alcune categorie di redditi e crediti non possono formare oggetto di pignoramento.

Questa limitazione mira a proteggere i diritti fondamentali del debitore.

Infatti esistono delle risorse vitali di cui un soggetto non può essere privato perché servono a soddisfare i bisogni primari (come l’alimentazione, l’abitazione e l’assistenza sanitaria).

Le principali tipologie di redditi e crediti impignorabili sono le seguenti:

  • crediti alimentari;
  • sussidi di grazia o di sostentamento ai poveri, ssussidi dovuti per maternità, malattie o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza;
  • crediti disciplinati da leggi speciali;
  • beni personali e familiari.

I crediti di lavoro (maturati dal lavoratore nei confronti del datore di lavoro per  lo svolgimento della propria prestazione lavorativa) sono pignorabili nella misura di un quinto (si tratta di un’impignorabilità parziale ai sensi articolo 545, comma 4, del codice di procedura civile).

Vediamo nel dettaglio le caratteristiche di questi crediti.

Crediti alimentari

I crediti alimentari sono costituiti da somme di denaro riconosciuti in favore di un beneficiario per garantire a quest’ultimo il soddisfacimento dei bisogni fondamentali di vita, come cibo, alloggio e assistenza.

Questo genere di crediti sorgono tipicamente in ambito familiare, ad esempio tra genitori e figli o tra coniugi.

Tale categoria di crediti può essere pignorata solo per soddisfare crediti della stessa natura e solamente previa autorizzazione del giudice (esiste una impignorabilità relativa ai sensi dell’articolo 545, comma 1, del codice di procedura civile).

Sussidi

I sussidi di grazia, sostentamento ai provi o dovuti per maternità malattie sono costituiti da somme di denaro destinate a sostenere le persone che si trovano in una condizione di povertà o difficoltà economica.

Questi redditi sono impignorabili in assoluto perché sono destinati a coprire bisogni immediati e vitali (esiste una impignorabilità assoluta ai sensi dell’articolo 545, comma 2, del codice di procedura civile).

Crediti disciplinati da leggi speciali

I crediti disciplinati da leggi speciali sono costituiti da somme di denaro che hanno lo scopo di tutelare determinate categorie di beni o somme, che sono riconosciute come vitali per la sopravvivenza o la dignità del debitore.

Tali somme di denaro comprendono la rendita vitalizia a titolo gratuito (articolo 1881 del codice civile), gli importi dovuti dall’assicuratore al contraente o al beneficiario (articolo 1923 del codice civile).

Beni personali e familiari

I beni personali e familiari sono categorie di beni che non possono essere pignorati per ragioni di carattere sociale, etico e giuridico.

Tali risorse comprendono i beni sacri e di culto, l’anello nuziale, la biancheria, le armi e altri oggetti che il debitore deve conservare per obblighi di servizio pubblico, gli strumenti indispensabili per l’esercizio della professione, gli animali domestici (come prevede l’articolo 514 del codice civile).

Pignoramento dello stipendio: invalidità

La violazione delle disposizioni in materia di redditi impignorabili determina l’inefficacia del pignoramento.

In presenza di impignorabilità relativa l’esecuzione è parzialmente inefficace (come prevede l’articolo 545, comma 9, del codice di procedura civile).

Infatti, in questi casi l’attività esecutiva colpisce solo la quota di reddito non aggredibile.

In caso di impignorabilità assoluta il pignoramento sarà invece nullo e il debitore avrà diritto alla restituzione del bene pignorato.

Qualsiasi tentativo di pignorare un reddito o un bene protetto in modo assoluto dalla legge sarà totalmente inefficace.

La nullità implica che il tentativo di pignoramento è considerato come se non fosse mai avvenuto.


Pignoramento dello stipendio: dettagli pratici

Pignoramento dello stipendio - dettagli pratici

Il pignoramento dello stipendio rappresenta uno degli strumenti più utilizzati ed efficaci per recuperare un credito insoluto.

Come ti ho spiegato in procedenza questa procedura rientra nella categoria dei “pignoramenti presso terzi”, poiché prevede il coinvolgimento nell’attività esecutiva di una figura esterna (il datore di lavoro).

Il rapporto tra quest’ultimo ed debitore si basa su un contratto che regola diritti e obblighi reciproci.

In forza di tale accordo, il datore di lavoro si impegna a corrispondere al dipendente una retribuzione in cambio della prestazione lavorativa svolta.

Tale compenso, solitamente erogato con cadenza mensile, rappresenta il corrispettivo economico per l’attività professionale prestata.

Attraverso il pignoramento dello stipendio il creditore ottiene una garanzia di pagamento.

Infatti al termine del processo esecutivo il giudice ordinerà al terzo (datore di lavoro) di versare direttamente al creditore una parte della retribuzione.

Vediamo adesso alcuni dettagli pratici che possono verificarsi sfruttando questo strumento processuale.

Pignoramento dello stipendio: limiti

Lo stipendio del debitore non può essere pignorato nella sua interezza ma il creditore deve rispettare dei limiti.

Infatti, la quota aggredibile non può eccedere un quinto dello stipendio netto (come prevede l’articolo 545, comma 4, del codice di procedura civile).

L’obiettivo di tale limitazione è evitare che il pignoramento privi il debitore di una parte eccessiva di reddito.

Una riduzione sproporzionata dello stipendio può compromettere gravemente la capacità del debitore di far fronte alle spese quotidiane, come affitto, bollette, cibo e altre necessità.

Tale circostanza renderebbe l’azione esecutiva sproporzionata e aggraverebbe l’esposizione debitoria dell’esecutato.

Pertanto, una volta identificato l’importo dello stipendio netto percepito dal debitore, il creditore dovrà dividere tale importo per 5 (oppure moltiplicarlo per 0,20) per calcolare il quinto.

La cifra ottenuta rappresenta la quota massima che può essere pignorata mensilmente.

Pignoramento dello stipendio e conto corrente

Il pignoramento dello stipendio potrebbe essere sostituito dal pignoramento del conto corrente .

Infatti, se la retribuzione viene accreditata direttamente su un conto bancario, il creditore potrà aggredire la somma giacente sul conto attraverso un pignoramento presso terzi.

In questo caso il ruolo di terzo verrà ricoperto dalla banca o dell’istituto postale che funge da intermediario.

Tuttavia esistono dei limiti da rispettare poiché il conto non può essere pignorato nella sua interezza.

Per individuare l’importo pignorabile è necessario fare attenzione alla data di accredito dello stipendio.

Il legislatore distingue due ipotesi:

Pertanto prima di scegliere questa soluzione, ti consiglio di effettuare delle indagini patrimoniali sul debitore.

Pignoramento dello stipendio: conto con saldo negativo

Il pignoramento del conto corrente può essere effettuato solo se il saldo è positivo.

Il creditore può intraprendere l’azione esecutiva solo se sul conto bancario ci sono fondi disponibili.

Una sentenza della giurisprudenza (Cassazione Civile, sentenza n. 36066/2021) chiarisce che se il conto corrente bancario presenta un saldo negativo, il creditore non può pignorare il semplice diritto del correntista a ottenere credito dalla banca.

Per semplificare il concetto, voglio spiegarti le principali casistiche:

  • Conto con saldo negativo e pignoramento: se il conto corrente presenta un saldo negativo il pignoramento non può essere eseguito perché non esiste un credito pignorabile;
  • Rimesse successive: se dopo la notifica del pignoramento, il conto riceve dei versamenti (le cosiddette “rimesse successive”), sarà possibile pignorare tali somme solo dopo che verrà saldato il debito con l’istituto di credito (per eventuali fidi o spese bancarie);
  • Conto con fido: se il conto corrente dispone di un “fido”, non sarà possibile pignorare tale “disponibilità”, poiché quest’ultima non è un credito ma costituisce un beneficio concesso dalla banca verso il correntista che può trasformarsi in un debito verso l’istituto di credito.

In sostanza, solo dopo che il saldo è ritornato in attivo, i creditori potranno pignorare le somme giacenti sul conto.

Pignoramento dello stipendio: terzo pignorato

Il “terzo pignorato” (o semplicemente “terzo”) è il soggetto che:

  • detiene beni, redditi o somme di denaro appartenenti al debitore;
  • risulta debitore del debitore (debitor debitoris).

In molti contenziosi la posizione di terzo è ricoperta dal datore di lavoro.

Quest’ultimo è la persona fisica o giuridica che assume un lavoratore per svolgere una determinata attività in cambio di una retribuzione mensile.

Lo stipendio erogato rappresenta il riconoscimento economico del lavoro svolto.

Come ti ho spiegato in precedenza, il terzo pignorato può essere rappresentato anche da un istituto di creditore se il debitore possiede un conto corrente.

Dopo la notifica dell’atto di pignoramento il terzo assume obblighi specifici ed è tenuto a custodire le somme pignorate con la massima diligenza.

Infatti la legge (articolo 543, comma 2, del codice di procedura civile) prevede che all’interno dell’atto di pignoramento il creditore deve avvisare il terzo pignorato di non disporre delle somme pignorate senza un’ordinanza del giudice.

Di conseguenza il datore di lavoro (o l’istituto di credito) ha la custodia fisica delle somme e deve assicurarsi che esse rimangano disponibili per il soddisfacimento del credito.

Riforma Cartabia

La “Riforma Cartabia” (Decreto Legge n. 19/2024) ha introdotto nuove regole per determinare gli importi che il terzo deve custodire (come prevede l’articolo 546, comma 1, del codice di procedura civile).

Le nuove soglie che sono le seguenti:

  • per crediti fino a 1.100,00 euro: il terzo deve essere custode dell’importo indicato nel precetto, oltre l’ulteriore somma di 1.000,00 euro;
  • per crediti compresi tra 1.100,01 euro e 3.200,00 euro: il terzo deve essere custode dell’importo indicato nel precetto, oltre l’ulteriore somma di 1.600,00 euro;
  • per crediti superiori a 3.200,00 euro: il terzo deve essere custode dell’importo indicato nel precetto, oltre l’ulteriore somma pari alla metà dello stesso importo indicato nel precetto.

Pertanto il terzo pignorato deve garantire che l’importo accantonato sia aumentato entro i limiti stabiliti dalla legge, al fine di coprire le spese di giustizia sostenute dal creditore.

Pignoramento dello stipendio: dichiarazione del terzo

Dopo aver ricevuto l’atto di pignoramento il datore di lavoro è obbligato a inviare al creditore una dichiarazione.

Questa comunicazione serve a confermare l’esistenza e l’ammontare dello stipendio del debitore.

La dichiarazione deve essere inviata attraverso raccomandata o tramite posta elettronica certificata entro 10 giorni dalla notifica del pignoramento.

Il terzo può fornire le informazioni personalmente oppure tramite un procuratore speciale o avvocato (come prevede l’articolo 547, comma 1, del codice di procedura civile).

Nella dichiarazione, il terzo deve comunicare quali sono le somme di denaro percepite dal debitore (a titolo di stipendio o TFR) e se lo stipendio è gravato da precedenti pignoramenti, sequestri o cessioni volontarie del quinto.

Pignoramento dello stipendio: dichiarazione positiva o negativa

La dichiarazione del terzo si definisce “positiva” quando attesta la presenza di somme di denaro pignorabili.

Se lo stipendio è adeguato, il creditore può trattenere una porzione (fino a un quinto) direttamente dalla busta paga del debitore.

Ad esempio, se un debitore percepisce uno stipendio di 2.000,00 euro netti al mese, il pignoramento del quinto potrebbe ammontare a 400,00 euro.

Al contrario la dichiarazione del terzo si definisce “negativa” quando il datore di lavoro comunica di non essere debitore di alcun bene o somma di denaro del debitore.

Infatti può accadere che il debitore sia stato licenziato oppure che il contratto di lavoro sia scaduto.

In questi casi è preferibile effettuare delle indagini patrimoniali e valutare delle soluzioni alternative per il recupero del credito.

Casi in cui il terzo non rende la dichiarazione

L’atto di pignoramento contiene un avvertimento molto importante per il terzo.

Infatti nell’atto giudiziario il creditore avvisa il terzo che se non invierà la dichiarazione entro 10 giorni dovrà presentarsi in Tribunale per adempiere a tale attività (come prevede l’articolo 543, comma 2, del codice di procedura civile).

Se il datore di lavoro non comparirà all’udienza, il credito si considererà “non contestato”.

In altre parole, in assenza di dichiarazione, il Giudice riterrà veritiero quanto affermato all’interno dell’atto di pignoramento e cioè che il terzo detiene i beni o crediti indicati nell’atto giudiziario.

Pertanto se il terzo non rispetta l’obbligo di fornire la dichiarazione si realizza un meccanismo giuridico di “presunzione legale” a favore del creditore.

Ti spiego meglio il concetto.

La dichiarazione rappresenta una conferma formale della situazione reddituale e patrimoniale del debitore.

Se il terzo non collabora nel fornire tale documento, si crea un vuoto informativo e la legge interviene (attraverso il meccanismo della “presunzione legale”) per evitare che il procedimento esecutivo si blocchi.

In questi casi il giudice emetterà l’ordinanza di assegnazione delle somme senza ulteriori verifiche.

Pignoramento dello stipendio: ordinanza di assegnazione

L’ordinanza di assegnazione è il provvedimento con cui il giudice ordina al terzo di versare al creditore una quota dello stipendio del debitore (come prevede l’articolo 552 del codice di procedura civile).

Dopo l’emissione del provvedimento giudiziario, il datore di lavoro sarà obbligato versare le somme fino a quando il debito non sarà interamente estinto.

L’obbligo di pagamento per il terzo decorrerà dalla notifica dell’ordinanza di assegnazione.

A partire dall’anno 2024 sono state introdotte importanti novità (dalla Riforma Cartabia).

La notifica dell’ordinanza di assegnazione deve essere accompagnata da una dichiarazione del creditore che contiene tutti i dati necessari per effettuare correttamente il pagamento (come prevede l’articolo 553, comma 1, del codice di procedura civile).

In particolare la legge (articolo 169-septies delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile) prevede che il documento deve fornire le seguenti informazioni:

  • numero di ruolo della procedura esecutiva;
  • indicazione del titolo esecutivo;
  • dati anagrafici e codice fiscale del creditore;
  • importo complessivo del credito dovuto (comprensivo di interessi, accessori e spese);
  • identificativo del conto di pagamento del creditore (o altra modalità di esecuzione del versamento).

Pertanto dopo la notifica della dichiarazione (insieme all’ordinanza di assegnazione) si completerà l’iter processuale e il creditore potrà ricevere il versamento da parte del terzo.


Pignoramento dello stipendio e credit management

Pignoramento dello stipendio - credit management

Il pignoramento dello stipendio rappresenta uno strumento molto utilizzato dai professionisti che si occupano di credit management.

Questo strumento processuale è largamente utilizzato per recuperare crediti chirografari di medio e piccolo importo.

Tuttavia, prima di avviare l’attività esecutiva, è necessario svolgere delle indagini patrimoniali per verificare la presenza di fonti di reddito pignorabili.

Nel corso degli accertamenti è importante conoscere qual è la tipologia di contratto di lavoro (indeterminato, determinato o part-time) con cui il debitore è assunto.

In questo modo sarà possibile analizzare la capacità reddituale della controparte (anche in ottica futura).

Infatti se il debitore percepisce uno stipendio periodico (nascente da contratto di lavoro a tempo indeterminato) sarà possibile pianificare con maggiore precisione l’azione esecutiva.

Al contrario, se il debitore è disoccupato o inoccupato è sconsigliabile avviare l’attività di recupero giudiziale del credito.

Senza un’analisi dettagliata, il  creditore correrà il rischio di intraprendere un’azione giudiziale inutile e costosa.

Vediamo adesso quali sono le attività principali da eseguire prima di avviare un pignoramento dello stipendio.

Pignoramento dello stipendio: la ricerca dei beni da pignorare

Il creditore ha diverse possibilità per ottenere informazioni sulla situazione patrimoniale e finanziaria del debitore.

Una delle strade disponibili è quella di rivolgersi direttamente all’Ufficiale Giudiziario (come prevede l’articolo 492-bis del codice di procedura civile).

Tale soggetto è un pubblico ufficiale che ha il compito di notificare gli atti giudiziari e dare esecuzione alle decisioni del giudice.

L’Ufficiale Giudiziario ha accesso diretto alle banche dati pubbliche ed è in grado di individuare rapidamente i beni di proprietà del debitore (immobili, conti correnti, e altri redditi aggredibili).

La Riforma Cartabia ha introdotto novità significative in materia.

Infatti il creditore può presentare apposita istanza direttamente all’Ufficiale Giudiziario e non più Presidente del Tribunale (come prevede l’articolo 492-bis del codice di procedura civile) per ricercare i beni da pignorare.

In alternativa il creditore può decidere di utilizzare uno strumento diverso e più rapido per indagare sui redditi del debitore.

Infatti è possibile avvalersi di agenzie specializzate in indagini patrimoniali per raccogliere informazioni sulla controparte.

Pignoramento dello stipendio: busta paga del debitore

La busta paga del debitore è il documento ufficiale in cui è indicato l’importo dello stipendio percepito dal debitore.

La retribuzione è composta da diverse voci come le trattenute, eventuali indennità, cessioni del quinto, premi e bonus.

Il creditore dovrà analizzare la busta paga nel dettaglio.

In particolare è necessario focalizzare l’ attenzione su due voci importanti:

  • stipendio netto: si tratta del reddito che il debitore ha effettivamente a sua disposizione al netto delle deduzioni;
  • presenza di eventuali quote destinate a enti finanziari o altri creditori: si tratta delle trattenute effettuate per rimborsare prestiti, finanziamenti o debiti già contratti.

Se la busta paga presenta già riduzioni significative dovute a debiti preesistenti la quota pignorabile potrebbe essere troppo esigua.

Inoltre il creditore dovrà analizzare anche il tipo di contratto di lavoro del debitore e la natura giuridica del datore di lavoro.

In particolare i contratti a tempo indeterminato offrono maggiore stabilità e garantiscono un flusso di reddito continuo.

Se il debitore è assunto a tempo determinato, invece, la sua capacità reddituale potrebbe essere minore, poiché il suo rapporto di lavoro potrebbe essere interrotto (senza rinnovo) alla scadenza.

Anche la natura giuridica del terzo pignorato è importante per l’analisi preliminare sull’avvio di una causa giudiziale.

Infatti uno stipendio erogato da un ente pubblico deve essere considerato potenzialmente più sicuro rispetto a quello erogato da un soggetto privato.

Inoltre gli enti pubblici sono meno soggetti a crisi finanziarie e a fluttuazioni del mercato e il debitore avrà maggiori probabilità di mantenere il proprio impiego.

Pignoramento dello stipendio: cessione del quinto

La cessione del quinto è un accordo tra un soggetto e un ente creditizio che prevede il rimborso del prestito attraverso la detrazione di una parte dello stipendio (fino ad un quinto).

A differenza del pignoramento, la cessione del quinto rappresenta una forma di trattenuta volontaria.

Il debitore, infatti, richiede esplicitamente la concessione del finanziamento e accetta che una parte del suo stipendio venga destinata al rimborso.

Nel caso in cui sulla busta paga è presente una cessione del quinto, la somma pignorabile potrebbe ridursi, perché la legge non consente che le trattenute superino determinati limiti.

Pertanto il creditore potrà pignorare lo stipendio ma dovrà accertarsi che quest’ultimo sia capiente.

In particolare, se un lavoratore ha già una cessione del quinto in corso, il pignoramento non può eccedere una quota massima.

Tale importo è determinato dalla differenza tra la metà dello stipendio e l’importo della rata della cessione (come prevede l’articolo 2 del DPR 180/1950).

Per spiegarti meglio il concetto voglio fornirti un esempio concreto.

Supponiamo che un lavoratore abbia uno stipendio netto di 1.500 euro con una cessione volontaria applicata dopo un finanziamento chirografario.

Se la cessione del quinto prevede una trattenuta/rata mensile di 250,00 euro, il creditore potrebbe pignorare un importo massimo dello stipendio pari a 500,00 euro.

Questo importo (500,00 euro) rappresenta la differenza tra la metà dello stipendio (1.500 euro diviso 2 = 750,00 euro) e la rata della cessione di 250,00 euro (750,00 euro meno 250,00 euro).

In questo modo il debitore potrà conservare una parte dello stipendio per fare fronte alle spese quotidiane.

Pignoramento dello stipendio: creditore in coda

Se lo stipendio del debitore è già stato pignorato al creditore non rimane altro che “mettersi in coda”.

In questi casi il datore di lavoro deve rispettare un ordine di priorità e dare la precedenza al creditore che si è attivato per primo.

Il termine cui fare riferimento è quello della notifica dell’ordinanza di assegnazione

Quando il primo pignoramento si sarà concluso, il creditore successivo potrà ottenere il pagamento tramite il versamento del quinto.

L’ultimo creditore si troverà ad aspettare fino a quando non saranno soddisfatti i precedenti creditori.

La posizione in coda influisce significativamente sui tempi di recupero del credito.

A seconda della durata dei pignoramenti preesistenti, l’ultimo creditore potrebbe trovarsi a dover aspettare diversi anni prima di recuperare il suo credito.

Per questo motivo il creditore in coda deve monitorare con attenzione i tempi di attesa.

Dichiarazione di interesse

Il pignoramento di crediti del debitore verso terzi perde efficacia dopo che sono decorsi dieci anni dalla notifica al terzo del pignoramento o della dichiarazione di interesse (come prevede l’articolo 551 bis del codice di procedura civile).

La dichiarazione di interesse è un atto formale mediante il quale il creditore conferma l’esistenza del credito e la sua intenzione di mantenere il vincolo sullo stipendio del debitore.

Tale comunicazione deve contenere specifiche informazioni, come i dettagli della procedura esecutiva e l’attestazione che il credito è ancora valido (articolo 551 bis, comma 3, del codice di procedura civile).

La dichiarazione di interesse deve essere notificata alle parti coinvolte e al terzo entro due anni dalla scadenza del termine decennale del pignoramento.

Entro 10 giorni dal notifica, il creditore dovrà depositare tale attestazione all’interno del fascicolo telematico (pena l’inefficacia della medesima).

Le conseguenze del mancato invio della dichiarazione possono produrre un danno significativo.

Infatti il pignoramento perderà efficacia e il terzo, trascorsi sei mesi, sarà liberato dagli obblighi di custodia (come prevede l’articolo 551 bis, comma 4, del codice di procedura civile).


Conclusione

Il pignoramento dello stipendio è una procedura complessa che coinvolge più soggetti con ruoli e responsabilità differenti.

Prima di avviare il pignoramento è necessario analizzare attentamente la reale capacità economica del debitore.

Il processo esecutivo costituisce un investimento di tempo e risorse.

L’analisi preliminare dei redditi pignorabili protegge il creditore dal rischio di avviare una causa giudiziale costosa e inefficace.

Se non ci sono risorse aggredibili il creditore può “congelare” la posizione debitoria ed effettuare una nuova ricerca patrimoniale a distanza di tempo.

Tale decisione gli permetterà di risparmiare risorse e monitorare nel tempo l’andamento della situazione economica del debitore.

Pignoramento dello stipendio - come evitare errori


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Inquilino moroso - copertina

Inquilino moroso: introduzione

Se hai affittato il tuo immobile a un inquilino moroso e vuoi scoprire come comportarti, sei finito/a nel posto giusto.

In questo articolo ti spiegherò come ottenere il pagamento dei canoni di locazione per recuperare il tuo credito insoluto.

La presenza di un inquilino moroso all’interno di un immobile è un problema che presenta diverse criticità.

In primo luogo il proprietario dell’abitazione subisce un danno economico che lo priva di un’importante fonte di reddito.

Inoltre l’immobile risulta occupato e non può essere utilizzato per altre opportunità di profitto, come la vendita del bene a terzi o una nuova locazione.

La legge prevede un procedimento speciale diverso dal giudizio ordinario che ti permetterà di risolvere entrambi i problemi.

Grazie a questo strumento processuale riuscirai a incassare più velocemente il credito insoluto, con spese giudiziali minori rispetto a quelle di un contenzioso civile ordinario.

Ma prima di proseguire voglio fornirti alcuni definizioni preliminari.

Inquilino moroso: cos’è la mora

La mora rappresenta l’ingiustificato ritardo nell’adempimento di un’obbligazione.

Il padrone di casa (locatore) che affitta un immobile all’inquilino (conduttore) è creditore nei sui confronti del corrispettivo pattuito all’interno del contratto.

In caso di mancato versamento dei canoni di locazione, il locatore può mettere in mora il conduttore intimandogli di adempiere l’obbligazione di pagamento.

Pertanto un inquilino si definisce moroso quando è in ritardo con i pagamenti dei canoni di affitto.

Il termine “mora” viene utilizzato anche per descrivere gli interessi dovuti da un debitore inadempiente per il ritardo nel versamento di una somma di denaro.

In ambito locatizio, quando un inquilino non salda il canone di locazione entro i termini stabiliti nel contratto, il locatore ha diritto di richiedere anche gli interessi, che decorrono automaticamente dal momento del mancato pagamento.

Inquilino moroso: contratto di locazione

La locazione è il contratto stipulato tra il locatore (proprietario) e il conduttore (inquilino) in cui il primo concede al secondo il diritto di utilizzare un bene immobile in cambio del pagamento di un corrispettivo (articolo 1571 del codice civile).

Esistono diverse tipologie di contratti di locazione:

  • Contratto di locazione a canone libero (4+4): viene utilizzato per le locazioni ad uso abitativo, prevede una durata di 4 anni e un rinnovo per altri 4 anni (salvo recesso anticipato o accordo diverso);
  • Contratto di locazione a canone concordato (3+2): viene utilizzato per disciplinare i rapporti di locazione in città con carenza di alloggi o in aree metropolitane dove i canoni di mercato sono elevati, prevede una durata di 3 anni e un rinnovo per altri 2 anni;
  • Contratto di locazione transitorio: viene utilizzato per soddisfare esigenze temporanee (es. lavoro a breve termine) e prevede una durata breve (massimo 18 mesi);
  • Contratto di locazione commerciale: viene utilizzato per immobili destinati ad attività commerciali, professionali o produttive, prevede una durata minima di 6 anni (come prevede l’articolo 27 della Legge n. 392/1978) e può essere rinnovato per un uguale periodo (salvo disdetta da parte del locatore o conduttore).

Il contratto di locazione deve essere registrato presso l’Agenzia delle Entrate entro 30 giorni dalla sua stipula.

La mancata registrazione determina la nullità del contratto e può causare l’irrogazione di sanzioni pecuniarie di carattere fiscale.

Un contratto di locazione non registrato è valido solo per i rapporti di breve durata (inferiori a 30 giorni).

Di conseguenza la registrazione del contratto di locazione è necessaria per intraprendere azioni legali in caso di mancato pagamento da parte dell’inquilino.

Se il contratto non è registrato il locatore non potrà avviare la procedura speciale per il recupero dei canoni, ma dovrà promuovere una causa civile ordinaria.

Inquilino moroso: documenti da conservare

Il primo passo da compiere per recuperare i canoni di locazione è quello di raccogliere la documentazione che prova l’esistenza del rapporto giuridico con il conduttore.

Molti proprietari di immobili decidono di affittare il proprio immobile senza stipulare alcun contratto (al fine di evitare il pagamento di tasse o imposte).

Questa scelta è molto rischiosa e può produrre al locatore significativi danni economici.

Inoltre, nel caso in cui sia necessario l’avvio di causa giudiziale, il creditore (proprietario dell’immobile) dovrà depositare ulteriori prove per convincere il giudice a emettere un provvedimento di condanna contro l’inquilino moroso.

In particolare i principali documenti da conservare e produrre in un eventuale giudizio sono:

  • Contratto di locazione registrato: la produzione di questo documento sarà utile per dimostrare l’esistenza di un accordo tra locatore e conduttore;
  • Atto di compravendita: la produzione di questo documento sarà utile per dimostrare che il soggetto che ha avviato la causa è il legittimo proprietario dell’immobile;
  • Ricevute di pagamento: la produzione di questi documenti sarà utile per evidenziare quali sono i canoni già versati e quali sono quelli insoluti per cui si chiede il pagamento;
  • Lettere di diffida e/o solleciti di pagamento: la produzione di questi documenti sarà utile per interrompere la prescrizione del credito e per dimostrare che il locatore ha cercato di transigere la controversia in via stragiudiziale.

La corretta conservazione dei documenti protegge la posizione giuridica del locatore e velocizza le attività legali per l’avvio di un contenzioso.


Inquilino moroso: lo sfratto per morosità

Inquilino moroso - lo sfratto per morosita

Se l’inquilino non paga i canoni di locazione il proprietario di casa ha il diritto di sfrattarlo.

Il procedimento per sfrattare l’inquilino moroso viene denominato “convalida di sfratto”.

Grazie a questo strumento il locatore può ottenere un provvedimento giudiziale che intima al conduttore di lasciare immediatamente l’immobile libero da persone e/o cose.

In seguito sarà possibile procedere con un giudizio esecutivo per “portare a esecuzione” la convalida di sfratto.

In questo modo il bene concesso in locazione tornerà nella piena disponibilità dell’istante del locatore.

La legge procede che il creditore può chiedere il pagamento dei canoni non pagati nello stesso atto con cui viene intimato lo sfratto (come prevede l’articolo 658 del codice di procedura civile).

Il procedimento di convalida di sfratto a differenza di un normale contenzioso civile è più veloce e snello soprattutto se l’inquilino non contesta lo sfratto.

Adesso vediamo nel dettaglio quali sono le attività operative per recuperare il tuo credito ed evitare errori.

Inquilino moroso: avviso bonario

Per prima cosa ti consiglio di inviare alla controparte un avviso bonario, tramite lettera raccomandata con ricevuta di ritorno.

L’avviso bonario è una comunicazione formale inviata dal locatore all’affittuario con l’obiettivo di sollecitare il pagamento dei canoni insoluti.

Tale strumento dimostra la disponibilità del locatore a trovare una soluzione pacifica senza ricorrere subito alle vie legali.

L’invio di un avviso bonario al conduttore non è un passaggio obbligatorio per avviare la procedura di convalida di sfratto.

Tuttavia tale tentativo è visto di buon occhio dai giudici perché rappresenta un chiaro segno di disponibilità da parte del locatore a transigere la controversia senza ingolfare le aule di giustizia.

Infatti l’invio di un avviso bonario può favorire il dialogo tra le parti agevolando una definizione anticipata del contenzioso.

Inoltre, prima di inviare l’avviso bonario, ricorda che esiste un tempo minimo di tolleranza previsto dalla legge.

L’articolo 5 della legge n. 392/1978, nota come “Legge sull’equo canone”, stabilisce una tolleranza per il ritardo nel pagamento del canone di locazione.

Questa norma prevede che il ritardo nel pagamento dell’affitto costituisce un motivo di risoluzione del contratto solo se avviene entro un termine di venti giorni dalla scadenza.

In ogni caso ti consiglio di verificare il contratto di locazione, poiché potrebbe contenere clausole più restrittive.

Inquilino moroso: intimazione di sfratto

Se dopo l’invio dell’avviso bonario l’inquilino continua ad essere moroso, il locatore si troverà costretto a intraprendere azioni legali.

In questa fase, si procederà con l’avvio di un procedimento giudiziario per la convalida di sfratto e per il recupero delle somme arretrate (articolo 658 del codice di procedura civile).

Il locatore, tramite Ufficiale Giudiziario notificherà al conduttore un’intimazione di sfratto per morosità (articolo 660 del codice di procedura civile) e lo citerà a comparire davanti al giudice competente (è il giudice del luogo dove si trova l’immobile).

Nell’atto introduttivo dovranno essere presenti le seguenti informazioni:

  • l’importo dei canoni non pagati;
  • la richiesta di rilascio dell’immobile;
  • la data dell’udienza per la convalida dello sfratto;
  • la richiesta di ingiunzione di pagamento per i canoni non pagati;
  • l’avvertimento al convenuto (l’inquilino moroso) che se non compare o, comparendo, non si oppone, il Giudice convaliderà lo sfratto.

Ricorda che nell’intimazione di sfratto per morosità il locatore ha la possibilità di chiedere al giudice di emettere un’ingiunzione di pagamento per il recupero delle somme dovute dall’inquilino.

Questa richiesta è fondamentale perché consente al locatore di ottenere lo sfratto e di recuperare il credito con un unico atto giudiziario.

Inquilino moroso: udienza per la convalida

Dopo la notifica della convalida di sfratto, il tribunale fisserà una data per l’udienza generalmente a breve termine.

Tra il giorno della notificazione dell’intimazione e quello dell’udienza devono intercorrere almeno 20 giorni liberi.

Durante l’udienza, l’inquilino ha diverse opzioni:

  • non presentarsi e non contestare le richieste del locatore;
  • presentarsi e impegnarsi a pagare i canoni insoluti:
  • opporsi alle richieste del locatore.

Se l’inquilino deciderà di non presentarsi all’udienza o non contesterà il ricorso, il giudice procederà con la convalida dello sfratto.

In questo caso il tribunale esaminerà le richieste del creditore e potrà riconoscere il diritto di ottenere la liberazione dell’immobile.

Allo stesso modo l’inquilino potrà presentarsi all’udienza e potrà impegnarsi a pagare i canoni arretrati, chiedendo di poter rimanere nell’immobile.

In questo caso, il giudice potrà concedere un termine di grazia (solitamente fino a 90 giorni) per permettere al conduttore di saldare i debiti.

Se l’inquilino effettuerà il pagamento entro questo termine, lo sfratto verrà sospeso.

Infine l’inquilino potrà presentare delle opposizioni formali o sostanziali, contestando il debito o sostenendo di aver già pagato.

A partire da questo momento il procedimento si trasformerà in un contenzioso ordinario, con un’istruttoria più lunga e la necessità di produrre prove a sostegno delle tesi processuali delle parti.

Ricorda che il mutamento di rito farà scattare l’obbligo di tentare una mediazione obbligatoria.

Tale procedura è stata ideata per la risoluzione alternativa delle controversie ed è obbligatoria per alcune materie specifiche, tra cui le locazioni (come prevede articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010).

Se nessuna delle parti avvia la mediazione, il giudice sospenderà il procedimento fino a quando il tentativo di conciliazione non verrà esperito.

Inquilino moroso: esecuzione forzata dello sfratto

Se non ci saranno opposizioni valide o se l’inquilino non comparirà in udienza, il giudice emetterà l’ordinanza di convalida dello sfratto.

Tale provvedimento ha immediato effetto esecutivo (come prevede l’articolo 663 del codice di procedura civile) con la conseguenza che l’inquilino dovrà lasciare l’immobile entro il termine stabilito.

In caso di mancato rispetto dell’ordine, il locatore potrà richiedere l’intervento dell’ufficiale giudiziario per eseguire lo sfratto forzato.

Questa fase potrebbe richiedere diversi tentativi, ed è probabile che sia necessario l’intervento delle forze dell’ordine per garantire che l’inquilino lasci l’immobile.

Inquilino moroso: ingiunzione per i canoni scaduti

Il creditore oltre allo sfratto potrà chiedere al giudice di ordinare all’inquilino moroso il pagamento dei canoni insoluti.

In questo caso verrà emesso un decreto ingiuntivo che consentirà al creditore di avviare l’esecuzione forzata.

Tale decreto ingiuntivo infatti costituisce un titolo esecutivo e potrà essere utilizzato dal locatore per recuperare il credito insoluto.

La richiesta di ingiunzione può essere formulata sia per i canoni scaduti, sia per le spese accessorie (es. spese condominiali o eventuali danni causati dall’inquilino).

La procedura giudiziale di “convalida di sfratto” è abbastanza rapida, poiché non prevede la fase istruttoria di contradditorio che si svolge durante un giudizio ordinario di cognizione.

Infatti il giudice, sulla base della documentazione presentata dal locatore (come il contratto di locazione e le prove di morosità), può emettere l’ingiunzione se ritiene sufficienti le prove allegate con il ricorso.

In questo modo il proprietario potrà agire rapidamente per riscuotere le somme dovute tramite procedure esecutive come il pignoramento (mobiliare, immobiliare, presso terzi) o l’iscrizione di ipoteca su immobili del debitore.

Inquilino moroso: pignoramento

L’ordinanza di convalida di sfratto, accompagnata dall’ingiunzione di pagamento potrà essere utilizzata per avviare le classiche azioni esecutive finalizzate al recupero del credito.

Se il conduttore possiede beni mobili (come automobili, attrezzature, arredi) o immobili (case, terreni), questi potranno essere sottoposti a pignoramento mobiliare.

Il pignoramento consiste nel creare un vincolo di indisponibilità sui beni, impedendo al debitore di disporne liberamente, per poi procedere alla loro vendita all’asta.

Ti conviene scegliere questa soluzione in base all’entità del credito.

Il ricavato verrà utilizzato per soddisfare il credito del locatore.

Inoltre il locatore può richiedere il pignoramento di una parte dello stipendio dell’inquilino moroso o delle somme depositate sul suo conto.

In seguito il giudice stabilirà una percentuale dello stipendio che potrà essere trattenuta ogni mese fino all’estinzione del debito, oppure bloccherà le somme presenti sul conto fino a soddisfare l’importo dovuto al creditore.

Ipoteca sui beni del conduttore

Se l’inquilino è proprietario di un immobile, il locatore potrà richiedere l’iscrizione di un’ipoteca giudiziale (sulla base del decreto ingiuntivo in suo possesso).

Tuttavia tale scelta deve essere ben ponderata e può essere adottata in base all’importo del credito insoluto.

Infatti l’iscrizione di un’ipoteca è vantaggiosa quando l’importo del debito è elevato e non è possibile (o improbabile) recuperarlo tramite altre azioni esecutive come il pignoramento dello stipendio o del conto corrente.

Se l’importo del credito è di piccola entità, potrebbe essere antieconomico per il creditore sostenere i costi di iscrizione dell’ipoteca.

In ogni caso, anche se l’importo del credito è elevato, il locatore dovrà comunque eseguire delle ispezioni ipotecarie sull’immobile del conduttore prima di decidere se procedere con l’iscrizione di una nuova ipoteca.

Questa verifica è fondamentale perché, se esistono ipoteche precedenti, il locatore rischierà di non recuperare alcuna somma al momento della vendita all’asta.


Conclusione

La presenza di un inquilino moroso è un problema piuttosto frequente che richiede un approccio strategico da parte del locatore.

Il proprietario può beneficiare dello sfratto per morosità per risolvere un duplice problema.

Grazie agli strumenti processuali, il creditore potrà ottenere (con uno stesso atto giudiziario) un provvedimento di condanna per recuperare il credito insoluto.

Allo stesso tempo sarà possibile sfrattare l’inquilino moroso e riutilizzare l’immobile come fonte di reddito periodico (in caso di ulteriori locazioni).

Tuttavia, prima di recuperare i canoni non pagati, è necessario effettuare delle verifiche preliminari sulla capacità reddituale dell’inquilino moroso.

Infatti l’assenza di beni pignorabili o redditi adeguati del debitore potrebbe rendere vana e antieconomica l’attività esecutiva.

In questi casi potrebbe essere preferibile trovare un accordo bonario con l’inquilino moroso accettando un pagamento rateale (tramite piano di rientro) o il pagamento di una cifra ridotta rispetto al credito originario.

Il tempo è una variabile fondamentale per valutare l’opportunità di avviare un contenzioso giudiziale.

Per evitare errori ti consiglio di chiedere il supporto di uno studio legale specializzato in credit management e diritto dell’esecuzione forzata.

In questo modo potrai proteggere i tuoi diritti e ottenere il pagamento dei canoni non saldati.

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Ipoteca su immobile pignorato - copertina iniziale

Ipoteca su immobile pignorato: introduzione

L’ipoteca su un immobile pignorato rappresenta un argomento molto tecnico che suscita numerosi quesiti e dubbi tra gli operatori più esperti.

Nel caso di crediti di importo elevato, il pignoramento di un immobile può rappresentare l’unico strumento efficace per ottenere il pagamento dal debitore.

Tuttavia in alcuni casi è possibile che altri creditori vantino un privilegio sui beni della controparte.

Infatti l’ipoteca è strettamente collegata al pignoramento immobiliare, poiché consente di “convertire” la garanzia reale in denaro tramite l’espropriazione forzata.

Tuttavia è facile commettere errori nello svolgimento di un’attività così complessa e insidiosa.

Per questo motivo ho deciso di scrivere una guida che spiega cosa fare quando esiste un’ipoteca su un immobile pignorato.

Inoltre ti illustrerò quando è utile iscrivere l’ipoteca e quali sono le possibili soluzioni alternative per recuperare il tuo credito insoluto.

Prima di proseguire è importante fornirti alcune definizioni preliminari.

Iniziamo subito.

Ipoteca: definizione

L’ipoteca è un diritto reale di garanzia che viene iscritto dal creditore su un bene immobile del debitore, come una casa o un terreno (articolo 2808 del codice civile).

In questo modo l’immobile ipotecato funge da garanzia per il pagamento del debito.

Di conseguenza, se il debitore non rispetterà l’obbligazione, il creditore potrà avviare un’azione legale per espropriare l’immobile e venderlo.

In caso di insolvenza del debitore, il creditore ipotecario ha il diritto di essere soddisfatto prima degli altri creditori non garantiti.

Infatti, l’ipoteca attribuisce al creditore un diritto di prelazione e cioè il diritto di essere preferito ad atri soggetti nella distribuzione del ricavato.

Il privilegio ipotecario consente al beneficiario di essere soddisfatto prima dei creditori non ipotecari.

Questi ultimi prendono il nome di creditori “chirografari” e cioè non garantiti da un diritto di prelazione sui beni immobili o mobili del debitore.

Il termine “chirografario” deriva dal greco “χάρις” (charis), che significa “scrittura”.

Pertanto il credito chirografario è basato semplicemente su un accordo o una scrittura, che non attribuisce alcun diritto reale sul patrimonio del debitore.

Tipologie di ipoteca

L’ipoteca può essere di varie tipologie e precisamente:

  • ipoteca volontaria;
  • ipoteca legale;
  • ipoteca giudiziale.

In particolare l’ipoteca volontaria viene costituita sulla base di un accordo sottoscritto tra le parti interessate (come ad esempio il contratto di mutuo).

L’ipoteca legale scaturisce automaticamente dalla legge in particolari situazioni giuridiche (come ad esempio l’ipoteca per garantire il pagamento di tributi).

Infine l’ipoteca giudiziale è una garanzia reale che nasce da un provvedimento giudiziario (sentenza o decreto ingiuntivo).

Un aspetto importante dell’ipoteca è la sua iscrizione presso i registri immobiliari.

Il principale scopo di tale adempimento è portare a conoscenza degli eventuali acquirenti o di ulteriori creditori del debitore l’esistenza del privilegio.

In questo modo il vincolo ipotecario iscritto nei registri non potrà essere ignorato.

Come si iscrive un’ipoteca

L’iscrizione dell’ipoteca è il procedimento mediante il quale il privilegio viene formalmente registrato nei pubblici registri immobiliari.

Tale forma di pubblicità rende l’ipoteca “opponibile” a terzi.

In parole più semplici il concetto di “opponibilità” significa che la presenza del privilegio sull’immobile viene reso noto a chiunque.

Pertanto lo stesso privilegio potrà essere utilizzato per “opporsi” ai diritti dei terzi (per questo motivo l’ipoteca si definisce “opponibile”).

Dopo l’iscrizione chiunque voglia acquistare l’immobile sarà consapevole dell’ipoteca esistente.

In particolare l’iscrizione nei pubblici registri stabilisce l’ordine di priorità dell’ipoteca rispetto ad altri privilegi o formalità presenti su quello stesso immobile.

In caso di più ipoteche, l’ordine di iscrizione nel registro determina l’ordine di pagamento in caso di vendita forzata del bene.

Nello specifico l’iscrizione deve essere richiesta al Conservatore dei Registri Immobiliari del luogo dove si trova l’immobile.

Ipoteca: come presentare la richiesta di iscrizione

La richiesta di iscrizione può essere effettuata dal creditore ipotecario o da un rappresentante autorizzato, come un notaio.

Per completare la procedura è necessario presentare il titolo esecutivo (mutuo, scrittura privata autenticata o provvedimento del giudice) e una nota in doppio originale (come prevede l’articolo 2839 del codice civile).

La nota contiene la richiesta formale di iscrizione e le informazioni necessarie sul credito per cui si procede.

Se la documentazione è conforme, il Conservatore completerà l’iscrizione dell’ipoteca nei pubblici registri immobiliari.

In seguito, il Conservatore rilascerà una certificazione di avvenuta iscrizione.

In questo modo l’ipoteca diventa opponibile ai terzi e ha valore legale.

Durata dell’ipoteca

L’ipoteca ha una durata massima di vent’anni dalla data della sua iscrizione, come previsto dall’articolo 2847 del codice civile.

Al termine di questo periodo (20 anni), se il credito non è stato ancora saldato, l’ipoteca dovrà essere rinnovata.

Il rinnovo va richiesto prima della scadenza dei vent’anni; in caso contrario l’ipoteca perde efficacia.

La mancata rinnovazione comporta la decadenza del privilegio.

In questo caso il creditore perderà il diritto di prelazione sul bene ipotecato e non potrà più far valere la garanzia nei confronti di altri creditori.

Ipoteca: effetti del mancato rinnovo

Dopo il mancato rinnovo dell’ipoteca il privilegio vantato sui beni immobili verrà perduto.

Di conseguenza il creditore si troverà sullo stesso grado di preferenza degli altri creditori chirografari e in caso di vendita forzata del bene non potrà essere soddisfatto in via prioritaria.

Tuttavia, l’estinzione dell’ipoteca non incide sul rapporto obbligatorio principale, ossia il diritto di credito, che rimane valido fino a quando il debito non viene completamente saldato (a condizione che il credito sia esigibile e non prescritto).

Il creditore, dunque, potrà ancora esigere il pagamento ma non avrà più la priorità sugli altri creditori in relazione al bene ipotecato.

La data di iscrizione presente all’interno della nota ipotecaria stabilisce ufficialmente quando l’ipoteca diventa efficace.

A partire da quella data inizia a decorrere il termine entro cui il creditore dovrà rinnovare la garanzia e preservare il proprio diritto di prelazione.

Ricorda di tenere sempre sotto controllo la durata dell’ipoteca e richiedi supporto legale specializzato per gestire correttamente il rinnovo.

Pignoramento immobiliare: definizione

Il pignoramento immobiliare è una procedura giudiziale attraverso la quale il creditore ottiene la vendita forzata di un immobile.

L’obiettivo principale del pignoramento immobiliare è consentire al creditore di soddisfare il proprio credito mettendo all’asta i beni del debitore.

In questo modo, dopo lo svolgimento all’asta giudiziaria, il ricavato della vendita verrà utilizzato per ripagare il creditore.

Durante il processo l’immobile resta vincolato fino alla vendita forzata, con la conseguenza che il debitore non potrà disporne liberamente.

Il vincolo giuridico creato dalla trascrizione del pignoramento garantisce i creditori, poiché il ricavato della vendita giudiziaria verrà utilizzato per soddisfarli secondo l’ordine di priorità stabilito dalla legge.

Come si trascrive il pignoramento

La trascrizione è l’atto formale mediante il quale il pignoramento viene annotato nei Registri Immobiliari (secondo quanto previsto dall’articolo 555 del codice di procedura civile).

Attraverso la trascrizione i potenziali acquirenti, i creditori e qualsiasi parte interessata possono ottenere informazioni sullo stato giuridico dell’immobile.

La trascrizione è indispensabile per proseguire l’esecuzione forzata e per bandire l’asta giudiziaria.

In particolare per effettuare la trascrizione è necessario seguire una serie di passaggi.

Innanzitutto il creditore deve notificare l’atto di pignoramento al debitore tramite l’Ufficiale Giudiziario.

In alcuni casi è necessario effettuare la notifica anche ai terzi interessati che hanno diritti sull’immobile (come ad esempio i comproprietari).

La notifica viene effettuata per:

  • informare formalmente il debitore sull’avvio dell’esecuzione forzata;
  • garantire che tutti i soggetti coinvolti siano a conoscenza del pignoramento.

Dopo la notifica il creditore deve consegnare una copia dell’atto di pignoramento al Conservatore dei registri immobiliari.

Pignoramento e adempimenti burocratici

La legge stabilisce che la trascrizione dell’atto di pignoramento deve essere effettuata tramite Ufficiale Giudiziario.

In particolare, su impulso del creditore procedente, l’Ufficiale Giudiziario trasmette gli atti alla Conservatoria per il completamento di tutti gli adempimenti burocratici.

In seguito il Conservatore verifica la correttezza dei dati presenti nell’atto di pignoramento e annota l’atto nei registri pubblici immobiliari.

Dopo aver effettuato la trascrizione la Conservatoria restituisce al creditore un documento denominato “nota di trascrizione”.

La “nota di trascrizione” rappresenta la prova legale dell’avvenuta annotazione dell’atto di pignoramento.

La data di trascrizione indicata nel documento determina l’ordine di priorità tra i creditori che vantano diritti di prelazione  sull’immobile.

Dopo la trascrizione del pignoramento, il creditore deve richiedere l’iscrizione a ruolo presso l’ufficio esecuzioni del tribunale competente.

A partire da questo momento inizia il processo esecutivo.

Dopo questa doverosa premessa, vediamo nel dettaglio come affrontare il caso di ipoteca iscritta su un immobile pignorato.


Ipoteca su immobile pignorato: cosa prevede la legge

Ipoteca su immobile pignorato - cosa prevede la legge

L’ipoteca può essere iscritta sia prima che dopo il pignoramento.

La data di iscrizione influisce sulle modalità di distribuzione del ricavato dopo la vendita giudiziaria.

Infatti, nel caso in cui diverse ipoteche risultino iscritte su uno stesso immobile, si applicherà il principio della priorità temporale.

Tale regola giuridica comporta che l’ordine di soddisfazione dei creditori dipende dalla di iscrizione dell’ipoteca.

Pertanto chi ha iscritto per primo l’ipoteca avrà diritto di essere soddisfatto con precedenza rispetto agli altri creditori.

Gradazione dei crediti

La gradazione dei crediti prevede la formazione di un ordine di priorità.

Per spiegarti meglio il concetto voglio fornirti un esempio pratico.

Immagina che l’ordine di priorità dei crediti sia rappresentato tramite una scala cha parte dall’alto verso il basso.

Gradazione dei crediti - grafico con scala

I creditori che si trovano in una posizione più elevata della scala avranno più possibilità di essere soddisfatti per intero.

Al contrario i creditori che si trovano in posizioni inferiori della scala potranno recuperare solo una parte del credito (in alcuni casi la somma in favore di questi creditori sarà pari a zero).

Infatti non sempre il ricavato della vendita è sufficiente per coprire tutte le pretese creditorie.

Dopo questo esempio, nei prossimi paragrafi ti spiegherò quali sono i rapporti tra ipoteca e pignoramento “in corso” e quali sono i casi più frequenti.

1) Ipoteca su immobile pignorato: iscrizione prima del pignoramento

L’ipoteca iscritta prima del pignoramento è valida ed efficace per tutta la durata dell’esecuzione.

Se il processo dura più di 20 tanti anni per preservare l’efficacia dell’iscrizione è necessario rinnovarla prima della scadenza.

Il grado dell’ipoteca è determinato dall’ordine cronologico della sua iscrizione.

Il creditore che iscrive per primo un’ipoteca ha diritto di essere soddisfatto con priorità rispetto agli altri.

Infatti se ci sono più creditori ipotecari quello con l’ipoteca più “vecchia” avrà la precedenza nella distribuzione del ricavato.

I creditori chirografari, invece, si trovano in una posizione di subordinazione e molto spesso non riescono a recuperare il loro credito.

Nella maggior parte dei casi l’iscrizione dell’ipoteca avviene prima del pignoramento.

Di solito i principali creditori ipotecari sono gli istituti di credito che concedono mutui per l’acquisto di prima casa e finanziamenti per finalità commerciali.

In particolare nel caso in cui una banca eroga un mutuo per l’acquisto di un immobile, l’ipoteca verrà iscritta contestualmente alla stipula dell’atto di compravendita.

Pertanto in questi casi l’efficacia dell’ipoteca non è compromessa dall’avvio di un eventuale pignoramento immobiliare.

Anche creditori diversi dalle banche (fornitori, aziende e condomini) possono iscrivere ipoteca prima dell’esecuzione forzata.

Allo stesso modo anche l’ipoteca giudiziale, così come quella volontaria, è sempre valida se trascritta prima dell’esecuzione.

2) Ipoteca su immobile pignorato: iscrizione dopo il pignoramento

L’ipoteca iscritta dopo il pignoramento è valida ma non efficace ai fini della distribuzione del ricavato.

Infatti l’articolo 2916 del codice civile stabilisce che l’ipoteca iscritta su un immobile già pignorato non produce effetti.

In questo caso il creditore non potrà far valere il suo diritto di prelazione e sarà equiparato ai creditori chirografari.

Lo scopo del pignoramento è creare un vincolo giuridico sull’immobile in modo da impedire al debitore di compiere atti che possano danneggiare i creditori.

Allo stesso modo, dopo la trascrizione del pignoramento i diritti dei creditori non possono essere alterati da nuovi privilegi iscritti in modo tardivo.

In altre parole, qualsiasi ipoteca iscritta successivamente alla trascrizione del pignoramento è considerata inefficace nei confronti dei creditori costituiti nella procedura.

Una volta che un immobile è stato pignorato e l’esecuzione è in corso, l’ordine di priorità dei creditori deve essere chiaro e predeterminato.

Tuttavia, l’ipoteca iscritta dopo l’avvio del pignoramento immobiliare, anche se risulta inefficace nei confronti dei creditori, è formalmente valida in quanto regolarmente visibile nei pubblici registri immobiliari.

Pertanto il credito (su cui si fonda l’iscrizione dell’ipoteca) non perde la sua validità legale, con la conseguenza che il creditore potrà agire contro il debitore tramite un pignoramento mobiliare o un pignoramento presso terzi.

3) Ipoteca su immobile pignorato: effetti sul piano di riparto

L’ipoteca iscritta dopo la trascrizione del pignoramento risulta inefficace rispetto al piano di riparto.

Quest’ultimo è il documento che stabilisce il modo in cui i proventi dell’asta devono essere distribuiti tra i creditori costituiti in procedura.

Infatti il ricavato della vendita all’asta viene suddiviso in base ai diritti di prelazione già esistenti alla data di trascrizione del pignoramento (come prevede l’articolo 510 del codice di procedura civile).

In particolare se il privilegio viene iscritto prima del pignoramento, il creditore ipotecario di primo grado verrà soddisfatto per primo.

Se invece l’iscrizione è successiva all’avvio del pignoramento, il creditore non avrà alcuna prelazione e parteciperà alla distribuzione del ricavato insieme agli altri creditori chirografari.

Di conseguenza in caso di pignoramento immobiliare, la data di trascrizione stabilisce un ordine di priorità tra i creditori.

I diritti di privilegio preesistenti non possono essere modificati o alterati da nuove trascrizioni.

Pertanto, le ipoteche iscritte dopo il pignoramento immobiliare non possono influenzare la gerarchia tra i creditori e non possono alterare l’ordine di priorità per la distribuzione del ricavato.

Se il ricavato non sarà sufficiente a soddisfare le pretese di tutti i crediti ipotecari costituiti in procedura, i creditori privilegiati “successivi” (il cui privilegio ha data di iscrizione successiva rispetto ad altri) non incasseranno alcuna somma.


Ipoteca su immobile pignorato: come recuperare il credito

Ipoteca su immobile pignorato - come recuperare il credito

Il recupero del credito attraverso il pignoramento immobiliare rappresenta una sfida complessa per i creditori.

In primo luogo, è necessario analizzare la situazione patrimoniale del debitore.

In questo modo sarà possibile individuare quali beni possono essere colpiti da eventuali azioni esecutive.

Tuttavia, l’iscrizione di un’ipoteca non è sempre una garanzia di integrale recupero del credito.

Infatti, altri creditori potrebbero vantare diritti di prelazione sugli immobili del debitore.

Per questo motivo voglio spiegarti come trovare delle soluzioni alternative per recuperare il credito ed evitare errori.

Ipoteca su immobile pignorato: verifiche preliminari

Per prima cosa è necessario effettuare delle verifiche preliminari sulle proprietà immobiliari del debitore.

In questo modo potrai comprendere meglio la situazione patrimoniale del debitore e valutare l’opportunità di avviare un contezioso.

In particolare ti consiglio di estrarre un’ispezione ipotecaria sul codice fiscale del debitore presso l’Agenzia delle Entrate.

Richiedi supporto legale specializzato per esaminare il documento e valutare eventuali formalità che potrebbero complicare il recupero del credito.

Valutare le condizioni economiche del debitore è necessario per decidere se avviare un pignoramento immobiliare.

Ricorda inoltre di valutare l’andamento del mercato immobiliare locale.

La fluttuazione dei prezzi degli immobili può avere un impatto significativo sul valore reale dell’immobile oggetto dell’ipoteca e sulle eventuali azioni esecutive.

Ipoteca su immobile pignorato: redditi periodici

Dopo aver analizzato gli immobili di proprietà del debitore ti consiglio di estendere l’indagine anche a eventuali redditi periodici.

In particolare prima di costituirti nel pignoramento immobiliare è necessario verificare se la controparte percepisce somme di denaro derivanti da stipendio, pensione o canoni di locazione.

In questo modo potrai raccogliere informazioni preziose che ti aiuteranno a selezione lo strumento processuale più idoneo per recuperare il tuo credito insoluto.

Devi sapere che il pignoramento mobiliare è una procedura giudiziale meno onerosa rispetto ai costi da sostenere per un pignoramento immobiliare.

Inoltre l’esecuzione forzata su beni mobili potrebbe avere una durata più ridotta e potrebbe aiutarti a ottenere il pagamento dalla controparte in tempi più rapidi.

In base alle recenti statistiche divulgate dal Ministero della Giustizia, la velocità di lavorazione del Tribunale è maggiore per i giudizi .

Infatti la vendita di beni immobili tramite asta giudiziaria potrebbe richiedere tempi prolungati e spese significative prima di concludersi con l’aggiudicazione.

Ipoteca su immobile pignorato: soluzioni alternative per recuperare il credito

Nel caso di ipoteca su immobile pignorato, voglio suggerti alcune soluzioni alternative che possono rivelarsi efficaci per recuperare il tuo credito.

In primo luogo ti suggerisco di avviare una trattativa stragiudiziale con il debitore e verificare la sua disponibilità a transigere la controversia.

In molti casi un accordo con la controparte (anche accettando di incassare un importo ridotto rispetto al credito vantato) può rivelarsi la soluzione migliore per ottenere il pagamento in tempi rapidi.

Tuttavia è preferibile che la negoziazione con il debitore sia essere gestita tramite uno studio legale specializzato in credit management.

L’efficacia persuasiva sarà di gran lunga maggiore se la richiesta di pagamento viene formulata tramite il coinvolgimento di uno studio legale.

Inoltre, un’altra soluzione che ti suggerisco è quella di avviare una mediazione civile.

Attraverso questo strumento, le parti possono definire il contenzioso attraverso un organismo di mediazione.

Al termine del procedimento, in caso di accordo con il debitore, il Mediatore redigerà il provvedimento finale denominato “verbale di mediazione” (tale atto possiede lo stesso peso giuridico di una sentenza).

In questo modo potrai recuperare il credito l’avvio di una causa giudiziale.


Conclusione

L’ipoteca su immobile pignorato è un argomento complesso, che suscita diversi quesiti anche tra i consulenti più preparati.

L’iscrizione dell’ipoteca sull’immobile del debitore può produrre vantaggi considerevoli per il recupero di un credito.

Tuttavia prima di procedere in questa direzione, è necessario verificare se sugli immobili della controparte sono presenti ulteriori privilegi.

Inoltre l’iscrizione dell’ipoteca dopo l’avvio di un pignoramento immobiliare, non produce effetti per i creditori ipotecari risultanti dai pubblici registri.

Per evitare errori, ti consiglio di richiedere supporto legale specializzato e valutare strumenti alternativi di recupero.

Ipoteca su immobile pignorato - come evitare errori


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Autore

Teresa Rossi

Avvocato • Credit Advisor • Founder di Recupero Legale

Specializzata in Credit Management • Immobiliare • Due Diligence

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© riproduzione riservata

Diffida via pec - copertina

Diffida via pec: introduzione

La diffida via pec è uno strumento giuridico fondamentale per i professionisti che si occupano di credit management.

In un contesto economico e geopolitico in continua recessione, le imprese si trovano spesso a dover gestire situazioni di insolvenza o ritardi nei pagamenti.

Per questo motivo è importante sfruttare la posta elettronica certificata (pec) per inviare una diffida alla controparte e ottenere il pagamento del credito insoluto.

In questo articolo voglio spiegarti quali sono i vantaggi della diffida via pec e quali procedure seguire per risolvere le tue crisi finanziarie.

Ti spiegherò come sfruttare questo strumento e trasformarlo in un alleato prezioso per facilitare il recupero del tuo credito.

Tuttavia prima di proseguire è importante fornirti alcune definizioni preliminari.

Iniziamo subito.

Diffida: definizione e finalità

La diffida è un atto formale con il quale il mittente invita il destinatario a rispettare obblighi contrattuali o legali.

Grazie a questo strumento è possibile tutelare un diritto riconosciuto dalla legge, come un credito vantato nei confronti di un debitore.

Il principale obiettivo della diffida è quello di sollecitare l’adempimento di una prestazione dovuta.

La diffida può essere utilizzata per richiedere il pagamento di un debito, la restituzione di beni o l’osservanza di specifiche clausole contrattuali.

Attraverso la notifica di una diffida si offre al destinatario la possibilità di rimediare all’inadempimento prima che vengano intraprese azioni legali.

Per questo motivo tale strumento può essere decisivo per risolvere una controversia senza dover ricorrere all’instaurazione di una causa giudiziale.

Tuttavia l’invio di una diffida può essere utile anche nel corso di un contenzioso.

Infatti le comunicazioni inviate alla controparte possono essere prodotte durante il giudizio per dimostrare l’intenzione del mittente di definire la controversia in via stragiudiziale.

Pec: definizione e finalità

La pec (acronimo che contiene le lettere iniziali delle parole “posta elettronica certificata”) è uno strumento fondamentale che consente di inviare e ricevere comunicazioni con valore legale.

Ogni volta che si utilizza una pec, il mittente può dimostrare l’avvenuta spedizione e consegna del messaggio al destinatario.

L’obiettivo principale di questo strumento è garantire la sicurezza delle comunicazioni elettroniche.

A differenza della normale email, la pec offre una serie di garanzie:

  • autenticità del mittente;
  • integrità del contenuto;
  • prova di avvenuta notifica al destinatario.

Infatti questo tipo di corrispondenza è largamente utilizzato non soltanto in ambito giuridico ma anche in ambito commerciale.

Le finalità della pec non si limitano solo alla trasmissione sicura dei documenti.

Molte istituzioni pubbliche richiedono l’uso della pec per la formalizzare l’accesso agli atti amministrativi.

La posta elettronica certificata consente una gestione più sicura delle comunicazioni e costituisce una scelta più efficiente dal punto di vista ambientale, riducendo lo spreco di carta.

Diffida via pec: ricevute di accettazione e consegna

Nella gestione dei crediti la diffida via pec rappresenta uno strumento fondamentale per chi desidera formalizzare una richiesta di pagamento.

Uno degli aspetti più rilevanti di questo strumento riguarda le ricevute di accettazione e consegna.

Quando si invia una diffida tramite posta elettronica certificata, il mittente riceve due tipi di ricevute:

  • la prima è la ricevuta di accettazione, che attesta che il messaggio è stato correttamente “accettato”, e certifica che il sistema tecnologico che gestisce la pec ha preso in carico la comunicazione del mittente;
  • la seconda è la ricevuta di consegna, che attesta che il messaggio è stato correttamente “consegnato” e ha raggiunto la casella pec del destinatario.

Quest’ultimo documento (ricevuta di consegna) costituisce la prova che la comunicazione è effettivamente giunta a destinazione e può essere utilizzato come prova legale in caso di controversie e cause giudiziali.

Le ricevute di accettazione e consegna forniscono elementi certi nella comunicazione tra le parti coinvolte e possono essere prodotte nel corso di una causa giudiziale per la tutela di un diritto.

Diffida via pec: valore legale

La diffida via pec ha valore legale poiché è equiparata alla lettera raccomandata con ricevuta di ritorno.

In questo modo l’invio e la ricezione sono tracciati e documentati dal sistema garantendo una prova certa della comunicazione avvenuta tra le parti.

In particolare, in caso di controversie legali, la ricevuta di consegna può essere prodotta nel fascicolo informatico, in formato “eml”, e sarà valutata dal giudice come conferma di notifica.

La ricezione della diffida via pec determina delle conseguenze per il debitore.

Infatti, se la controparte non risponde entro i termini stabiliti nella comunicazione, il creditore potrà qualificare tale comportamento come omissivo e rilevante ai fini giuridici.

L’utilizzo della pec è un modo efficace per rafforzare la propria posizione nei confronti del debitore e tutelarsi da eventuali contestazioni future.


Diffida via pec nel Credit Management

Diffida via pec - credit management

La diffida via pec è uno strumento fondamentale nel settore del credit management.

Grazie alla sua capacità di garantire la prova dell’invio e della ricezione, rappresenta un alleato prezioso nella gestione dei crediti insoluti.

Quando un debitore non rispetta i termini di pagamento, inviare una diffida tramite pec offre diversi vantaggi.

Il primo beneficio consiste nel formalizzare la richiesta di pagamento e cristallizzare l’importo del credito insoluto.

Questo strumento aumenta la pressione psicologica sul debitore, poiché la mancata risposta potrebbe spingere la controparte ad avviare una causa giudiziale.

Inoltre la diffida via pec può agevolare il dialogo tra le parti favorendo una gestione più rapida ed efficiente delle negoziazioni.

In questo modo il creditore costruisce i presupposti per raggiungere un’intesa con il debitore e definire la controversia.

Diffida via pec: messa in mora del debitore

La diffida via pec consente la messa in mora del debitore.

In particolare, la messa in mora è un atto formale attraverso il quale il creditore richiede ufficialmente al debitore di adempiere alle sue obbligazioni non rispettate.

All’interno della comunicazione il creditore precisa il termine entro cui il debitore deve eseguire la prestazione dovuta.

La messa in mora interrompe i termini di prescrizione e può avere conseguenze legali rilevanti, come l’obbligo per il debitore di pagare gli interessi derivanti dal ritardo.

L’invio della diffida non solo chiarisce la posizione del creditore ma aumenta anche l’effetto persuasivo sul debitore.

Infatti, in molte situazioni, ricevere una diffida può spingere il debitore a regolarizzare rapidamente la propria posizione finanziaria.

Pertanto utilizzare questo strumento diventa una scelta strategica per migliorare il tasso di recupero delle somme dovute.

Diffida via pec: come trovare la pec del debitore

Trovare la pec di un debitore può sembrare complicato, ma ci sono diverse soluzioni gratuite che puoi adottare.

Innanzitutto bisogna distinguere se la controparte è una persona fisica o una persona giuridica (società).

Le persone fisiche non sono obbligate a possedere una pec, in quanto tale obbligo è riservato principalmente ai professionisti iscritti ad albi e alle imprese.

Le aziende e le società, invece, sono obbligate a possedere una pec per garantire la tracciabilità delle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni e soggetti istituzionali.

Gli strumenti per individuare la pec di un’impresa

Un buon punto di partenza è il Registro delle Imprese.

Tramite i servizi online delle Camere di Commercio puoi estrarre una visura camerale e cercare informazioni sulle società iscritte, compreso l’indirizzo della loro pec.

Grazie alla visura avrai una panoramica chiara e aggiornata sullo stato legale dell’azienda.

Inoltre uno strumento molto potente e gratuito è il portale denominato “IniPec“, che contiene l’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata di imprese e professionisti.

Grazie al suo motore di ricerca è possibile individuare la pec della controparte inserendo i suoi dati identificativi.

Sul nostro canale YouTube abbiamo pubblicato un video che ti spiega come utilizzare IniPec senza errori (guarda il video qui sotto).

Gli strumenti per individuare la pec di una persona fisica

Se il debitore è un persona fisica, la ricerca può risultare più complessa.

In alcuni casi la controparte non possiede un indirizzo pec, e l’indagine potrebbe risultare difficile (in assenza di documenti che indichino l’indirizzo del destinatario).

Per prima cosa ti consiglio di consultare l’Indice Nazionale dei Domicili Digitali, l’elenco istituito dall’Agenzia dell’Italia Digitale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Grazie a questo strumento potrai verificare se la tua controparte possiede un indirizzo pec.

Tuttavia se l’accertamento sulla pec ha esito negativo, potresti utilizzare l’email tradizionale per avviare un contatto preliminare, al solo fine di verificare la possibilità di raggiungere un accordo bonario.

Ricorda però che l’invio di un’email non ha valore legale e non produce gli stessi effetti giuridici di una pec.

Se il debitore non dispone né di un’email né di un indirizzo pec, l’unica opzione è contattarlo telefonicamente o inviare una diffida all’indirizzo di residenza.

Diffida via pec: debitore senza pec

Se il debitore è privo di una casella pec, lo scenario si presenta più complesso.

L’assenza della posta elettronica certificata limita le possibilità di inviare comunicazioni ufficiali e formali.

Tuttavia esistono alternative valide.

Una possibilità è l’invio della diffida tramite lettera raccomandata con ricevuta di ritorno tramite Ufficio Postale.

Questo metodo garantisce la prova dell’invio e della ricezione da parte del debitore.

La finalità delle notifiche legali è quella di garantire che il destinatario sia portato a conoscenza di determinati atti o provvedimenti giudiziali.

Se la pec non è disponibile, è importante utilizzare strumenti alternativi che garantiscano l’efficacia della notifica.

Diffida via pec: notifica tramite Ufficiale Giudiziario

L’alternativa all’invio di una lettera raccomandata è la notifica della diffida tramite Ufficiale Giudiziario.

L’Ufficiale Giudiziario è un soggetto autorizzato a effettuare notifiche legali e svolge la sua attività all’interno di un ufficio denominato “Ufficio Notifiche”.

In primo luogo, per effettuare la notifica è necessario preparare la documentazione da inviare alla controparte che include la “diffida all’adempimento” o “atto di messa in mora”.

In coda all’atto da notificare bisogna predisporre la “relata di notifica”, ovvero uno spazio separato dal contenuto della comunicazione che contiene tutte le informazioni sul destinatario.

Una volta completata la documentazione da notificare bisogna recarsi presso l’Ufficio Notifiche competente per richiedere formalmente l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario.

In seguito l’Ufficiale Giudiziario effettua la notifica e al termine predispone una certificazione denominata “relazione di notifica” che attesta la data e l’ora in cui il destinatario ha ricevuto la diffida.

La notifica della diffida tramite Ufficiale Giudiziario può aumentare l’efficacia persuasiva della richiesta di pagamento inducendo il debitore a fornire un riscontro.

Tale documento rappresenta una prova certa e inconfutabile dell’avvenuta notifica.


Diffida via pec e prescrizione

Diffida via pec - prescrizione

L’invio della diffida via pec determina l’interruzione della prescrizione.

La prescrizione è un istituto giuridico che stabilisce il termine entro il quale è possibile esercitare un diritto o far valere una pretesa legale.

Decorso il termine di prescrizione, il diritto o la pretesa non possono più essere esercitati o riconosciuti.

Pertanto, con l’invio di una diffida tramite pec, il creditore cristallizza il suo diritto di credito e interrompe gli effetti della prescrizione.

Infatti, dopo la consegna dell’atto interruttivo al destinatario, il termine di prescrizione inizia a decorrere nuovamente dall’ultima data di notifica secondo i criteri fissati dalla legge.

Pertanto la pec fornisce una prova documentale dell’invio della diffida e della sua ricezione che può essere fondamentale in caso di contestazioni sulla prescrizione.

In questo modo il creditore potrà dimostrare la validità della sua richiesta aumentando le probabilità di recupero del credito.

Diffida via pec: conservazione delle ricevute

Dopo l’invio della diffida tramite pec ti consiglio di conservare le ricevute di accettazione e consegna.

La conservazione delle prove di notifica può tutelare la tua posizione giuridica nel caso di avvio di una causa giudiziale (la conclusione del contenzioso può richiedere diverso tempo).

Per questo motivo è necessario utilizzare sistemi digitali di archiviazione secondo i parametri previsti dalla legge.

In questo modo i documenti potranno conservare la loro integrità e accessibilità nel tempo.

Inoltre grazie alle piattaforme di archiviazione, le ricevute di accettazione e consegna rimarranno protette da eventuali perdite, alterazioni o danni causati da errori umani.

Grazie a questa soluzione potrai conservare l’efficacia delle tue prove in caso di contenzioso giudiziario.

Diffida via pec: ricevuta di mancata consegna

La ricevuta di mancata consegna attesta che il messaggio inviato non è stato recapitato al destinatario.

Tale circostanza si verifica quando l’indirizzo pec del debitore è errato oppure quando la sua casella di posta è piena.

Ricevere un messaggio di mancata consegna è una circostanza che non va sottovalutata.

Infatti le ricevute di mancata consegna della pec non hanno l’effetto di interrompere i termini di prescrizione del credito.

Questo significa che, se la diffida non è stata correttamente ricevuta dalla controparte, il termine di prescrizione continua a decorrere senza alcuna interruzione.

Di conseguenza, il diritto di credito potrebbe scadere prima che il creditore abbia l’opportunità di agire legalmente.

Per questo motivo è opportuno garantire l’interruzione della prescrizione attraverso strumenti differenti che assicurino la ricezione della comunicazione da parte del destinatario.

Diffida via Pec: recupero del credito

Dopo aver inviato una diffida via pec, il recupero del credito può subire un’accelerazione significativa.

Questo strumento può servire da monito per il debitore, poiché dimostra che il creditore è pronto a intraprendere azioni legali.

Dopo avere ricevuto la diffida il debitore può decidere di contattare il creditore per raggiungere un accordo di saldo e stralcio o per concordare un piano di rientro.

In particolare, il saldo e stralcio è un accordo tra creditore e debitore attraverso cui quest’ultimo paga una somma inferiore all’importo totale del debito.

In altre parole, il debitore si impegna a versare una cifra ridotta, che viene accettata dal creditore come pagamento completo del debito.

Questo tipo di accordo è spesso utilizzato quando il debitore non è in grado di pagare l’intero importo e il creditore accetta un pagamento parziale come soluzione per definire la controversia.

Il piano di rientro è un accordo che consente al debitore di pagare il debito in rate dilazionate nel tempo, invece di un pagamento unico.

Questa soluzione prevede la suddivisione dell’importo totale del debito in rate mensili o periodiche, che il debitore si impegna a versare fino alla completa estinzione dell’esposizione debitoria.

Il piano di rientro è spesso utilizzato quando il debitore ha difficoltà a pagare l’intero importo in una sola soluzione ma è in grado di effettuare pagamenti regolari su base mensile o periodica.

Di fronte alla possibilità di ulteriori azioni legali o di danni reputazionali, il debitore potrebbe essere incentivato a negoziare un accordo per evitare ulteriori complicazioni.

Ti consiglio di mantenere una comunicazione aperta con il debitore anche dopo l’invio della pec.

Un dialogo tra le parti potrebbe facilitare un accordo senza dover ricorrere a misure drastiche.

Diffida via pec: mancato recupero del credito

L’invio di una diffida via pec non sempre determina il recupero immediato del credito.

I motivi del mancato pagamento possono essere molteplici e richiedono un’analisi specifica sulla situazione economica della controparte.

In alcuni casi, il debitore potrebbe ignorare la diffida, ritenendo che le conseguenze siano minime.

Ricorda che l’atteggiamento del debitore può variare in base a diversi fattori personali o economici.

Se il debitore non paga, il creditore potrebbe essere costretto a ricorrere ad una causa giudiziale per ottenere il pagamento del credito insoluto.

In questi casi lo strumento processuale più utilizzato è il ricorso per decreto ingiuntivo.

Il decreto ingiuntivo è un provvedimento emesso dal tribunale che ordina al debitore di adempiere a un’obbligazione pecuniaria entro un termine stabilito.

Questo provvedimento viene emesso senza contraddittorio iniziale e si basa sulla documentazione fornita dal creditore.

In caso di accoglimento e successiva notifica del decreto ingiuntivo, il debitore potrà opporsi entro il termine di quaranta giorni.

Decorso tale termine (40 giorni) il provvedimento diventerà esecutivo.

Da questo momento il creditore potrà avviare l’esecuzione forzata tramite il pignoramento dei beni o dei redditi del debitore.

Tuttavia, per incrementare le possibilità di successo, è essenziale avviare azioni esecutive solo dopo aver accertato la disponibilità di risorse pignorabili.

La verifica della solvibilità del debitore garantisce che le azioni legali siano mirate e aumenta le probabilità di recupero del credito.


Conclusione

In definitiva, l’invio della diffida a mezzo pec rappresenta una scelta vantaggiosa per i creditori poiché aumenta le probabilità di recupero.

Utilizzare la pec è una decisione strategica importante poiché consente di formalizzare la messa in mora del debitore e interrompe i termini di prescrizione.

Le ricevute di accettazione e consegna sono fondamentali poiché costituiscono una prova concreta e inconfutabile dell’avvenuta ricezione della diffida.

L’invio della diffida via pec fornisce una solida base di partenza per qualsiasi eventuale contenzioso.

Inoltre ricorda che questo strumento può ridurre il rischio di contestazioni e può facilitare la risoluzione di controversie complesse.

Diffida via pec - benefici


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Autore

Teresa Rossi

Avvocato • Credit Advisor • Founder di Recupero Legale

Specializzata in Credit Management • Immobiliare • Due Diligence

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Assegnazione della casa coniugale - copertina

Assegnazione della casa coniugale: Introduzione

Hai mai sentito parlare dell’assegnazione della casa coniugale?

Se vuoi recuperare un credito pignorando l’immobile del debitore devi prestare attenzione a questo tema.

L’assegnazione della casa all’ex coniuge, infatti, condiziona la destinazione futura dell’immobile.

La presenza di questo provvedimento può influenzare in modo significativo l’attività di recupero del tuo credito.

Pertanto è molto importante comprendere le conseguenze dell’assegnazione della casa coniugale prima di avviare il pignoramento.

In questo articolo ti fornirò alcuni consigli utili per evitare errori e gestire correttamente il tuo credito insoluto.

Prima di iniziare voglio fornirti alcune definizioni preliminari.

Assegnazione della casa coniugale: definizione

L’assegnazione della casa coniugale è un provvedimento che viene emesso dal giudice a seguito di un giudizio di separazione o divorzio.

Attraverso questa misura  il giudice assegna l’abitazione della coppia soltanto a uno dei due coniugi.

Tale decisione tiene conto di diversi fattori, tra cui le esigenze abitative dei figli minorenni e la capacità economica dei coniugi.

L’obiettivo dell’assegnazione della casa coniugale è garantire una sistemazione adeguata per i membri più deboli della famiglia.

Pertanto questo istituto può avere ripercussioni significative in caso di pignoramento sull’immobile del debitore.

I presupposti per l’assegnazione

In caso di separazione o divorzio, il giudice, tenendo conto delle condizioni economiche dei coniugi, assegna la casa coniugale in presenza di 2 presupposti (art. 337 sexies c.c.):

  1. l’affidamento dei figli minorenni;
  2. la convivenza con i figli maggiorenni non economicamente autosufficienti.

Il provvedimento di assegnazione, infatti, è finalizzato esclusivamente alla tutela della prole.

Spesso l’assegnazione della casa coniugale diventa oggetto di negoziazione tra le parti coinvolte nella separazione.

Tuttavia, in assenza di accordo, spetta al giudice decidere quale sia la miglior soluzione per garantire la stabilità abitativa del coniuge e dei figli.


Assegnazione della casa coniugale e Ipoteca

Assegnazione della casa coniugale - ipoteca, trascrizione e opponibilità

Sono numerosi i casi in cui l’assegnazione della casa coniugale e l’ipoteca incrociano il destino del creditore.

Si tratta di un argomento molto tecnico a cui tanti esperti non riescono a rispondere.

In questi casi le sorti dell’immobile riguardano anche il coniuge separato o divorziato che abita proprio nella casa che si intende mettere all’asta.

La vicenda si complica ulteriormente se il debitore non abita all’interno dell’immobile.

Un esempio classico: il marito intestatario del mutuo non paga le rate ma l’immobile è abitato dalla ex moglie e dai figli.

Il conflitto tra ipoteca e assegnazione dell’immobile viene risolto facendo riferimento alla data di trascrizione dei due atti.

Assegnazione della casa coniugale: la trascrizione

Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale deve essere trascritto nel pubblici registri immobiliari (come prevede l’articolo 2643 del Codice civile).

La trascrizione è il procedimento attraverso il quale tutti gli atti relativi a un immobile (ad esempio diritti di proprietà, le eventuali ipoteche o vincoli che gravano sul bene) vengono registrati in maniera ufficiale.

Attraverso questa formalità il provvedimento di assegnazione della casa coniugale produce effetti non solo tra i coniugi coinvolti.

Pertanto la trascrizione garantisce la certezza giuridica delle transazioni immobiliari e le rende opponibili a terzi come ad esempio eventuali creditori.

Assegnazione della casa coniugale: l’opponibilità ai terzi

Quando si parla di atto “opponibile a terzi” si intende un atto che ha efficacia non solo tra le persone che vi hanno dato vita.

L’opponibilità, infatti, rende l’atto efficace e valido anche nei confronti dei terzi che non hanno partecipato alla sua creazione.

In altre parole se l’atto è “opponibile ai terzi” significa che può essere utilizzato nei confronti dei terzi, al fine di risolvere un eventuale conflitto tra soggetti che avanzano pretese sullo stesso bene.

Allo stesso stesso modo se un atto è “opponibile al creditore” significa che l’atto avrà efficacia anche nei suoi confronti, nonostante quest’ultimo non lo abbia materialmente creato.

Grazie alla trascrizione il diritto di abitazione sulla casa coniugale viene reso noto anche a soggetti esterni alla coppia.

In questo modo si evita qualsiasi possibile controversia o disputa riguardante la proprietà e l’utilizzo dell’immobile.

Assegnazione della casa coniugale: casi in cui prevale l’Ipoteca

Adesso vediamo cosa succede se sull’immobile esiste un’ipoteca e un provvedimento di assegnazione della casa coniugale.

Per risolvere questo conflitto, trattandosi entrambi di atti aventi data certa, si applica il principio delle priorità temporale (come prevede l’articolo 2644 del codice civile).

Per questo motivo è essenziale fare riferimento alla data di trascrizione dei due atti (ipoteca e assegnazione della casa coniugale).

Se l’assegnazione della casa coniugale viene trascritta prima avrà efficacia “erga omnes” (nei confronti di tutti) e sarà opponibile a terzi acquirenti o creditori ipotecari successivi.

Se invece l’iscrizione ipotecaria è precedente in questo caso il creditore potrà pignorare l’immobile come se fosse libero.


Assegnazione della casa coniugale e Pignoramento

Prima di avviare un pignoramento immobiliare è importante prestare attenzione alla presenza del diritto di abitazione dell’ex coniuge del debitore.

Tale provvedimento potrebbe infatti limitare la possibilità di esecuzione forzata sull’immobile, in quanto quest’ultimo è riservato all’utilizzo da parte del coniuge assegnatario.

In caso di ipoteca iscritta dopo l’assegnazione, il creditore avrà comunque il diritto di pignorare l’immobile.

Tuttavia, l’aggiudicatario dovrà attendere la revoca del provvedimento di assegnazione prima di poter effettivamente entrare in possesso della proprietà.

Questa circostanza può scoraggiare potenziali acquirenti interessati ad acquistare un immobile tramite asta.

Pertanto il processo  esecutivo può risultare più complicato e dispendioso per il creditore.

Analizziamo alcuni casi pratici.

1) Ipoteca iscritta prima del provvedimento di assegnazione

Se l’ipoteca è stata iscritta prima della trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa coniugale allora l’immobile potrà essere pignorato come se fosse libero.

In questi casi prevale il privilegio del creditore ipotecario su eventuali pretese del coniuge assegnatario.

Il diritto del coniuge assegnatario trascritto dopo l’iscrizione dell’ipoteca non può pregiudicare i diritti del titolare della garanzia reale.

2) Ipoteca iscritta dopo il provvedimento di assegnazione

Se l’ipoteca è stata iscritta dopo la trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa coniugale vi sono conseguenze differenti.

In questo caso il creditore pignorante non può pretendere il rilascio dell’immobile in quanto l’assegnazione è a lui opponibile.

Il diritto del coniuge assegnatario trascritto prima dell’ipoteca prevale sul privilegio del creditore ipotecario.

3) Provvedimento di assegnazione non trascritto

Se il provvedimento di assegnazione non è stato trascritto allora l’ipoteca del creditore è opponibile senza limiti di tempo.

Questo significa che il privilegio ipotecario ha efficacia anche nei confronti del coniuge assegnatario.

Pertanto se il creditore ha iscritto ipoteca prima del provvedimento di assegnazione si potrà avviare l’esecuzione forzata.

Il coniuge assegnatario non potrà opporsi al pignoramento immobiliare.

Se invece il creditore ha iscritto ipoteca dopo la trascrizione del provvedimento giudiziale di assegnazione e decide di avviare l’esecuzione forzata, il coniuge assegnatario potrà opporsi al pignoramento immobiliare.

L’eventuale aggiudicazione dell’immobile non avrà efficacia.


Conclusione

Prima di avviare il pignoramento analizza l’ispezione ipotecaria dell’immobile.

Verifica se nel documento sono presenti provvedimenti giudiziali conseguenti a una separazione o divorzio.

In questo caso, prima di avviare l’esecuzione forzata, è necessario verificare la data di trascrizione dell’assegnazione nei registri immobiliari.

Allo stesso modo, se hai intenzione di iscrivere ipoteca o avviare un pignoramento immobiliare, non farti scoraggiare dalla preesistenza di eventuali formalità sull’immobile.

In questi casi ti consiglio di verificare:

  • la data della trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa coniugale;
  • l’età dei figli del debitore;
  • la situazione familiare complessiva della parte debitrice.

Devi sapere che il provvedimento di assegnazione non ha una durata illimitata, ma può essere revocato quando vengono meno i presupposti previsti dalla legge.

Per questo motivo ti consiglio di chiedere supporto legale specializzato per programmare senza errori la tua strategia di recupero.

Assegnazione della casa coniugale - casi rilevanti - schema


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Autore

Teresa Rossi

Avvocato • Credit Advisor • Founder di Recupero Legale

Specializzata in Credit Management • Immobiliare • Due Diligence

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